Quanto spesso succede che – una volta raggiunto un obiettivo o visitato il posto dei nostri sogni – questo sembra quasi “deludere” le nostre aspettative? Perché tutto ci sembra non all’altezza delle nostre aspettative? Come mai non siamo mai soddisfatti di noi e di ciò che facciamo? Perché cerchiamo sempre qualcosa di nuovo senza mai fermarci a bordo strada a goderci la strada fatta fino ad ora e berci un bel drink da una noce di cocco al tramonto?
Queste domande ho iniziato a pormele nell’ultimo anno e fino ad ora non è che abbia fatto chissà quale grande lavoro nel trovare una risposta… l’ho cercata eh non mento su questo, ma sento comunque che le risposte che ho trovato non soddisfino al 100% la mia necessità di avere la risposta che voglio, che forse però non è la risposta che avrò e questo mi fa chiedere se io non sia capace di accettare la realtà quando questa mi si presenta davanti agli occhi.
Hai un problema e puoi risolverlo? Allora non dovresti preoccupartene troppo. Hai un problema e NON puoi risolverlo in alcun modo? Allora cosa te ne preoccupi a fare se tanto non puoi cambiare la cosa?
Questo lo diceva già Lao Tzu, un filosofo cinese, 2.500 anni fa!! Questo per farvi capire che le così dette seghe mentali sono una cosa vecchia come la nostra storia stessa e quindi ormai un po’ di esperienza dovremmo averla accumulata per capire come non farsi sopraffare da questa marea di pensieri.
Le seghe mentali sono quelle noiose litigate interiori che ci consumano tempo ed energia senza portarci da nessuna parte. È un modo colloquiale utilizzato per descrivere un certo tipo di rimuginio, ovvero quando iniziamo a farci 5.000 paranoie (spesso anche estremamente irrazionali) su un particolare problema, situazione o preoccupazione. Adesso, per cercare di centrare bene lo scopo di questo episodio – ovvero comprendere come farsi meno paranoie – vediamo di focalizzare il concetto di sfere di controllo, un concetto introdotto da Stephen Covey in un suo libro.
La paura è un qualcosa di assolutamente fisiologico, anzi direi che la paura è una cosa VITALE per la crescita di un individuo. Quindi spesso quando sento dire: “Beato te che non hai paura” oppure “Beato te che non ti preoccupi di queste cose” sono tutte delle cavolate perché:
Il coraggio in realtà non andrebbe visto come la mancanza di una percezione di paura, ma semplicemente come un superamento della paura stessa; quindi, la persona che viene definita coraggiosa non è necessariamente una persona che non ha paura, ma piuttosto una persona che fa in modo di imparare a gestire quella paura e a superarla.
In un periodo di Babele di linguaggi, connessioni, condivisioni, link, amicizie più virtuali che reali, compagnie di ogni tipo, vere e presunte, è andata maturando un’equazione che ci porta fuori strada, a proposito di stili di vita. Stare con sé stessi equivale a essere soli. È vero l’esatto contrario, ovvero se riusciamo ad apprezzare la nostra compagnia, a scoprire la nostra interiorità, a smussare nel nostro intimo gli angoli che tutti abbiamo, la voglia di stare in compagnia, di non essere soli, è solo destinata a crescere. E quando si sta bene con sé stessi, diventa quasi automatico riuscire a stare bene con gli altri. Mentre, se abbiamo un vuoto dentro e pensiamo di colmarlo solo ubriacandoci di compagnia, di link e di like, non possiamo che finire nella palude della vera solitudine. Sprecando il nostro equilibrio, la nostra serenità, e un asse della bellezza della vita.
Avere una routine, delle certezze nei percorsi che facciamo quotidianamente o nelle posizioni che ricopriamo nella società ci dà un senso di sicurezza, una sicurezza che talvolta risulta essere fondamentale per alcune persone. Fondamentale perché gli permette di credere di avere il controllo sulla propria vita, sulle proprie decisioni e sul futuro tanto incerto e spaventoso che si avvicina rapidamente giorno dopo giorno. La realtà però, e spesso molto più dura e imprevedibile di quanto si possa pensare e questa illusione di avere il controllo non fa altro che incastonare nella nostra mente un senso di insicurezza e di inadattabilità alle sfide che dobbiamo affrontare.
Immagina di guardare indietro alla tua vita e chiederti "E se avessi detto di sì a quella opportunità?" o "E se avessi dato una possibilità a quella persona?" Non serve essere vecchi per guardarsi indietro e pensare ai nostri rimpianti. I rimpianti possono esserci in qualunque tappa della nostra vita, e non andrebbero mai sottovalutati per il semplice fatto di essere giovani e di pensare di avere altre occasioni… perché si, è vero che ci potranno essere sempre altre occasioni, ma appunto sono altre… e non quella specifica ormai andata persa.
Non fraintendete, non voglio spargere angoscia o ansia… la mia è una constatazione importante e il primo passo per imparare ad accettare al 100% la nostra vita è essere sinceri con noi stessi e quindi anche realisti verso le cose brutte della vita che non vorremmo fossero così.
Nello scorso episodio abbiamo parlato dell’importanza del saper dire di NO quando necessario, un no che determina la propria libertà ed indipendenza verso gli altri, ma anche un NO verso noi stessi per imparare a porci dei limiti da non superare. Bene, oggi parleremo esattamente dell’opposto! Perché SI, anche saper dire di SÌ alle cose giuste è fondamentale…forse anche più dei NO!
“Le due parole più brevi e più antiche, sì e no, sono quelle che richiedono maggior riflessione.” Disse Pitagora nel sesto secolo avanti cristo…
Di solito, in molte occasioni, per convenienza, simpatia, costrizione o falsità, diciamo di sì. È la maniera peggiore per mettere in mostra la nostra personalità scadente. Bisogna avere il coraggio di dire no quando l’occasione lo richiede. Solo così non avremo rimpianti e saremo orgogliosi della nostra scelta. La vita è piena di sì sprecati e di no taciuti. Proviamo a pensare a quanti no e a quanti sì abbiamo detto nella nostra vita. C’è chi dice di no a tutto e chi invece non riesce a dirne nemmeno uno: la soluzione non è, come si può pensare, nel bilanciamento delle due risposte ma nel dire sì o no in modo autentico e vero.
Immagina di condividere delle forti opinioni politiche di una certa fazione, oppure una forte convinzione circa gli eventi che stanno accadendo in qualche parte del mondo. Ogni volta che leggi delle notizie, ogni volta che ti confronti con i tuoi amici, stranamente ti sembrerà proprio di avere sempre più ragione e che ogni cosa sembra proprio confutare le tue teorie… quindi ti fai forte delle tue convinzioni insieme ad altri che come te la pensano in quel modo, fino magari ad estremizzarti! Ecco, in realtà sei solo vittima di uno dei tantissimi bias cognitivi catalogati fino ad oggi… nello specifico il BIAS della CONFERMA.
Oggi parleremo dei BIAS COGNITIVI e di come questi possano influenzare le tue scelte e il tuo potenziale!
Eccoti li, sul divano… immobile e senza la minima voglia di fare qualcosa… avresti anche degli impegni o dei doveri a cui adempiere ma la tua voglia di alzarti e fare cose che non avresti voglia di fare è talmente tanto grande da farti rinunciare, anche sapendo che questo avrà delle conseguenze. Non hai scuse…sei una persona PIGRA!
Abbiamo parlato nel primo episodio della serie delle piaghe dell’auto-realizzazione della PROCRASTINAZIONE. Abbiamo fatto presente di come questo comportamento in realtà non si sinonimo stretto della pigrizia ma più che altro una sua componente o comunque un suo sintomo. Definiamo oggi allora, chiudendo il cerchio delle 5 piaghe, cosa è la pigrizia e perché questo atteggiamento può impedirti di raggiungere i tuoi obiettivi.
Esploriamo l'importanza di avere stima in noi stessi e affrontiamo il problema diffuso della bassa autostima. Con riflessioni sulla consapevolezza, analisi delle radici del problema e consigli pratici, scopriremo come coltivare una stima positiva. Storie di resilienza e supporto sociale rendono questo episodio un viaggio ispiratore verso una migliore comprensione di sé.
Riconoscere la durezza della vita è un passo importante verso la maturità emotiva e la resilienza. La vita è intrinsecamente complessa e imprevedibile, e ognuno di noi affronta sfide e difficoltà in varie forme. La realtà è che nessuno è immune da momenti difficili, siano essi legati a questioni personali, relazionali, professionali o di salute. Nessuno di noi, per quanto spesso magari lo si millanti a destra e sinistra, è un robot totalmente indifferente ai duri colpi della vita. Ogni volta che qualcosa di brutto accade, se non sappiamo come reagire alla cosa, ci consuma dentro, staccando un piccolo pezzo di noi che poi difficilmente torna al suo posto, lasciando quindi un posto libero che magari viene occupato da comportamenti e pensieri dannosi per la nostra vita.
Ecco il motivo per cui oggi proseguiamo nella nostra lista delle 5 piaghe dell’auto realizzazione, in particolare parleremo della nota tendenza al VITTIMISMO.
La disciplina è libertà. Forse non sarai d’accordo con questa affermazione, e senza dubbio non sarai il solo. Eppure, l’avere auto-disciplina permette di raggiungere obiettivi (nell’educazione, nel lavoro, nello sport, nell’alimentazione, nelle questioni finanziarie) che ci rendono liberi… liberi dai vizi, dai nostri limiti e dai limiti imposti dagli altri.
Ma cosa significa avere disciplina?
Se ci sono elementi caratteriali o comportamentali che ci definiscono, che ci delineano o caratterizzano nel lungo periodo, o anche per solo dei brevi periodi, direi che possiamo classificarne alcuni come tossici per la nostra crescita personale. Che si tratti di lavoro, studio, vita privata o altro ci sono alcuni atteggiamenti che potremmo tranquillamente definire come le piaghe dell’autorealizzazione.
Oggi vediamo la prima delle 5 piaghe dell’autorealizzazione, ovvero la procrastinazione. Ne abbiamo già parlato spesso, già dall’episodio 5 sull’auto sabotaggio dove abbiamo spiegato come procrastinare incida notevolmente su questo atto suicida che tanto amiamo. Le altre piaghe sono:
Oggi vediamo nello specifico in cosa consiste la procrastinazione e come dovremmo gestirla per uscire dal buco nero del rimandare costantemente ciò che dovremmo fare. Procrastinare è una delle grandi piaghe dell’umanità, in particolare della nostra generazione. Una generazione con talmente tanti stimoli e distrazioni che procrastinare e fare altro dovrebbe essere eletto a sport nazionale. Ma perché procrastiniamo anche quando sappiamo che è sbagliato e che non farà altro che peggiorare la situazione? Perché lo facciamo anche se in realtà non fa altro che far allungare il disagio di avere in sospeso uno specifico compito?
Partiamo con un bell’esempio lampante e che scommetto ha coinvolto almeno una volta ognuno di noi - o comunque chiunque abbia mai guidato una macchina o una moto -. Sei li che guidi tranquillamente verso una destinazione frequente (che può essere la scuola, il lavoro o casa) e all’improvviso dal nulla ti rendi conto che stai guidando e che fino a quel momento nonostante tu stessi guidando egregiamente e senza intoppi non ti eri davvero accorto di star guidando, come se il tuo cervello lo stesse facendo in automatico come un’azione svolta in background mentre eri impegnato a pensare ad altre cose. Ecco questo fenomeno si chiama Mind-wandering ed è tipico durante la guida. Ed è anche un esempio perfetto di cosa sia la Default Mode Network.
Dormire… ma quanto sarà bello dormire? Quella sensazione incredibile di mettersi sotto le coperte calde d’inverno, quando fuori fa molto freddo, magari piove o nevica e tu sei al calduccio bello rilassato nel letto e sprofondi in un bel sonno piacevole e ristoratore. Tanto bello quanto complicato il nostro amico sonno visto che c’è chi dorme bene senza problemi e senza neanche chiedersi quanto importante sia nella vita quotidiana e chi invece lo brama ardentemente e non riesce a chiudere occhio neanche pagato?
Durante il sonno il corpo rallenta le sue funzioni fisiologiche. La temperatura si abbassa, il metabolismo rallenta, la pressione sanguigna si stabilizza e i tessuti si rigenerano. Pensate che Albert Einstein, uno dei più grandi geni della storia, attribuiva gran parte della sua creatività e intelligenza al sonno di qualità. Diceva che le sue teorie più rivoluzionarie si formavano durante i sogni.
Il sonno non è solo un momento in cui il nostro corpo si riposa; è anche il momento in cui la nostra mente si rigenera. Uno studio condotto dalla Harvard Medical School ha dimostrato che durante il sonno, il cervello elimina le tossine accumulate durante il giorno, contribuendo così a preservare la salute cognitiva a lungo termine. Pensate che ogni giorno il nostro corpo effettua un numero indicibile di divisioni cellulari. Un’operazione molto complicata che il nostro corpo fa in automatico ma che comporta dei rischi anche se non lo sappiamo. Ogni volta che si presenta una divisione cellulare, se questa incontra qualche problematica si possono generare delle cellule cancerogene che possono portare poi alla comparsa di un tumore. Ecco gli studi dicono che la maggior parte di queste cellule difettose viene eliminata durante il sonno e quindi dormire bene riduce drasticamente le probabilità di ammalarsi di tumore. Pensate che già l’ora legale e solare (dove prendiamo o perdiamo un ora di sonno) incidono significativamente su elementi simili.
Una volta Edison disse: “Io non ho fallito. Ho semplicemente trovato dieci mila modi diversi che NON funzionano”. Ovviamente potrebbe suonare come un ottimismo un po’ forzato, ma il suo perché lo ha sempre. Quando si parla di pensare positivo, il fulcro di tutto non è trovare un pensiero positivo ma moderato, ma ribaltare completamente il punto di vista per ottenerne un vantaggio, anche se remoto.
Hai mai affrontato una sfida che sembrava insormontabile? Un problema che ti ha fatto sentire completamente sconfitto e senza via di fuga…. beh, ognuno di noi, nella propria vita quotidiana, affronta sfide, delusioni, inconvenienti ecc…. questi momenti cruciali della nostra vita possono sia distruggerci che renderci molto più forti. Tutto dipende esclusivamente dal modo in cui decidiamo di viverli.
Per quale motivo mentiamo?
Cosa ci spinge ad elaborare articolate e complesse storie/scuse capaci di vincere un oscar se solo le pubblicassimo sul grande schermo?
Si tratta di una semplice paura delle conseguenze? Oppure si tratta di un disturbo patologico?
Scopriamolo insieme e dimmi la tua a riguardo qui sotto!
Just FYM. Don't Stop Feeding Your Mind!
Probabilmente la maggior parte di noi, io incluso, è cresciuta con l’errata convinzione che la meditazione sia un qualcosa di mistico e religioso per gente strana orientale e che si tratti della tipica cavolata spirituale che non serve a niente e che soltanto i fanatici fanno. Beh, per esperienza personale posso dirvi che si, come tutte le cose a questo mondo, se fatte senza mezze misure e con la mentalità sbagliata, diventano attività prive di significato e spesso si trasformano in atteggiamenti e credenze tossiche per la persona che le svolge. Siamo cresciuti magari vedendo in tv le storie dei monaci buddisti che levitano e che fanno altre cose strane abbastanza fuori dalla portata dei comuni mortali e ovviamente queste esagerazioni hanno poi portato all’errata concezione odierna della meditazione, del suo scopo e dei suoi reali benefici. Perché si, ci sono dei benefici e sono anche tanti. Per l’episodio di oggi, visto che nello scorso abbiamo parlato della neuroplasticità, ho deciso di portare un argomento che gli è strettamente correlato e che inoltre mi sta particolarmente a cuore: ovvero i risultati di numerosissime ricerche scientifiche che dimostrano e spiegano cosa succede esattamente (chimicamente, biologicamente e fisicamente) al nostro cervello quando meditiamo.
Quante volte ci siamo detti che fare una determinata cosa non faceva per noi e che non “eravamo portati” per farla? Chissà quante volte ci siamo fatti fermare da pensieri del genere denigratori nei nostri confronti. Io in primis diverse volte mi sono detto che non ero affatto portato per fare una cosa e magari ho perso tantissime occasioni che neanche avrò la possibilità di sapere quali sono. Se ci ripenso ora, con il senno di poi, mi mangio le mani al solo pensiero; e questo perché ho capito con l’esperienza e lo studio che ci sono davvero pochissime cose, se non quasi niente, che non possiamo fare quando lo vogliamo davvero. Ma non fraintendetemi, non sto dicendo la tipica frase motivazionale del cavolo che ci sentiamo ripetere spessissimo, dico questo perché lo dice la scienza, e più nello specifico la NEUROPLASTICITA’. Qualcuno di voi ne avrà già sentito parlare visto che l’ho citata spesso negli scorsi episodi e oggi andremo ad approfondire l’argomento, sperando di poter dimostrare ai più scettici di voi quanto potenziale nascosto abbiamo.
Se volessimo fare i cervelloni e dare una “definizione scientifica”, Per plasticità cerebrale si intende la capacità dell'encefalo di modificare la propria struttura e le proprie funzionalità a seconda dell'attività dei propri neuroni, correlata ad esempio a stimoli ricevuti dall'ambiente esterno. Una definizione più semplice sarebbe: il nostro cervello può cambiare forma e dimensione letteralmente a seconda di come vogliamo noi. Inteso nel senso che siamo noi a scegliere quali abitudini avere e quale comportamento adottare nella quotidianità. Questo avrà un riflesso diretto sulle connessioni neurali e quindi andrà ad aumentare o diminuire di conseguenza il numero e la forma di quelle connessioni, modificando a sua volta le molteplici sezioni di cui è composto il cervello.
Quante volte ci è capitato di parlare, anche tra amici, alle cene o così per caso, delle differenze caratteriali tra uomo e donna? Di parlare magari del tipico stereotipo dove diciamo che le donne sono più propense a fare o essere questo e quest’altro e gli uomini in quest’altra cosa ecc? Beh, oggi parleremo esattamente di uno di questi argomenti, forse quello più comune, quello che più spesso salta fuori quando parliamo di queste differenze caratteriali. Stiamo parlando della famosa intelligenza emotiva.
Molto spesso mi è capitato, a me in primis, durante queste conversazioni, di di utilizzare in modo improprio il termine “intelligenza emotiva”. È sempre stato usato per indicare un certo grado di sensibilità alle cose e alle circostanze. Magari usato per indicare semplicemente quanto siamo affini alle emozioni e quanto siamo appunto sensibili. Studiando però per questo podcast ho scoperto che questa concezione è molto riduttiva e che in realtà l’intelligenza emotiva è molto più di tutto questo.
Per Intelligenza Emotiva si intende la capacità di creare un'armonia fra "mente e cuore", di fare cioè un uso intelligente dell’emozione. Ciò che proviamo è alla base di quasi tutte le decisioni più importanti che prendiamo nella nostra vita. Saper riconoscere e dare un nome alle nostre emozioni è quindi fondamentale per dare significato a quello che ci accade. L'intelligenza emotiva è la capacità di comprendere, utilizzare e gestire le proprie emozioni in modi positivi per alleviare lo stress, comunicare in modo efficace, entrare in empatia con gli altri, superare le sfide e disinnescare i conflitti. In termini pratici, questo significa essere consapevoli che le emozioni possono guidare il nostro comportamento e avere un impatto sulle persone e imparare a gestire quelle emozioni, sia le nostre che quelle degli altri. L'intelligenza emotiva serve a costruire relazioni più forti, avere successo a scuola e al lavoro e perseguire efficacemente i tuoi obiettivi di carriera e personali. Può anche aiutarti a connetterti con i tuoi sentimenti, trasformare l'intenzione in azione e prendere decisioni su ciò che conta davvero per te. Alcuni studi sull’intelligenza emotiva suggeriscono che possa essere appresa e rafforzata, mentre altri sostengono che sia una caratteristica innata.
Da dove deriva questo concetto? Ad introdurre il concetto di intelligenza emotiva sono stati i professori Peter Salovey e John D. Mayer, che ne parlarono per la prima volta nel 1990 nel loro articolo "Intelligenza emotiva" sulla rivista Imagination, Cognition and Personality.