«Era lui, vecchio e stanco. Erano morti cinque papi, la Roma eterna mostrava i primi sintomi della decrepitezza, e lui continuava ad aspettare. «Ho aspettato tanto che non può più mancare molto» mi disse congedandosi, dopo quasi quattro ore di rievocazioni. «Può essere cosa di mesi.» Se ne andò strascicando i piedi in mezzo alla strada, con i suoi stivali da guerra e il suo berretto stinto da vecchio romano, senza badare alle pozzanghere di pioggia in cui la luce cominciava a marcire. Allora non ebbi più dubbi, se mai ne avevo avuti, che il santo era lui. Senza rendersene conto, attraverso il corpo incorrotto di sua figlia, erano ormai ventidue anni che viveva lottando per la causa legittima della propria canonizzazione. »
Questo è un estratto da La Santa, racconto tratto dalla raccolta Dodici racconti raminghi (1992), che Monica Acito, nostra seconda ospite di Ti porto un libro LIVE di Torino, ha scelto di condividere con noi.
Monica Acito, classe 1993, nata e cresciuta in Campania, si è specializzata in Filologia Moderna nel 2018. Nel 2021 ha vinto, nella sezione racconti, il Premio Calvino con Amaràvia. Oggi insegna discipline umanistiche nella scuola secondaria di primo e secondo grado.
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E tu, l’hai già letto?
«Allora decisi di mettermi a morire. Scivolai con la schiena lungo la parete e mi allungai interamente sulla terra, fissando per l’ultima volta i miei due piedi ritti e divaricati nell’alone del lume.Ma appena toccai con la schiena la terra, subito rimbalzai a sedere. Avevo pazzamente afferrato il lume e me lo passavo a costo alle braccia, alle gambe, al petto e ai fianchi. Me li sentivo invasi dai vermi, ed altri vermi venivo ad assaltarmi da ogni parte. Vermi si staccavano dall’alto della parete e mi saltavano in testa, li sentivo intrufolarsi nei miei lunghi capelli e poi muoversi come pidocchi. Alla luce non vidi niente né sulla pelle né sulla stoffa, ma le mie pupille vedevano vermi lo stesso, i vermi erano dentro le mie pupille.Gridai: – Pietà! Pietà! Pietà, maestra Ghirardi!Non avevo mai gridato tanto forte, il volume della mia voce non mi aveva atterrito. E poi mi atterrì il silenzio che seguì la caduta del mio grido. Avevo chiamato la morta, sarebbe certamente venuta, i miei occhi si preparavano a vederla, c’era già davanti ad essi o in essi una grande macchia bianca. Non potevo lasciar venire la morta, dovevo fermarla, afferrai il Thompson e feci una raffica da sinistra a destra, dal basso in alto, una croce di colpi.»
Questo è un estratto da ‘’Tutti i racconti’’ di Beppe Fenoglio, che sono racconti della guerra civile, racconti del parentado e del paese, racconti del dopoguerra, racconti fantastici: è in base a quest’ordine voluto dallo stesso Fenoglio che vengono raccolti tutti i suoi racconti. È Beatrice Salvioni a portarci Fenoglio e con sé tutta la complessità, la brutalità e le sensazioni carnali dei suoi racconti. Salvioni, classe ‘95 è una scrittrice e lettrice famelica di racconti, nel 2021 ha vinto il premio Calvino racconti con il racconto “Il volo notturno delle lingue mozzate”.
La Malnata è il suo primo romanzo tradotto e in via di traduzione in tutto il mondo e per noi ci sono molti punti di contatto con i racconti che ha scelto di portare alla puntata Live di Ti porto un libro tenutasi a Torino da Borealis.
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E tu, l’hai letto?
''Il cielo sopra il porto aveva il colore della televisione, sintonizzata su un canale morto.«Non sono un fattone» sentì dire Case da qualcuno mentre si apriva un varco a spallate nella calca assiepata davanti all'ingresso del Chat. «È il mio corpo che patisce un'enorme mancanza di droga.» L'accento era tipico dello Sprawl, come pure la battuta. Il Chatsubo era un bar frequentato da espatriati di professione; potevi andarci per una settimana di seguito senza sentire due parole di giapponese.''Questo è un estratto da Neuromante, il romanzo di fantascienza di William Gibson. Le sue pagine si presentano come un sogno al risveglio: frammentate, piene di vuoti e interruzioni. I dettagli sfuggono, l’inizio è incerto, la fine lo è ancora di più. È uno scenario liquido e instabile in cui si muove il lettore, dove ogni elemento appare e scompare senza mai trovare una collocazione precisa nello spazio o nel tempo. Anche il linguaggio riflette questa dimensione allucinata, sospesa, quasi onirica.
Vera Gheno, sociolinguista, traduttrice dall’ungherese e divulgatrice, ha scelto proprio Neuromante per inaugurare con noi Ti porto un libro – live tenutosi a Firenze. Con alle spalle vent’anni di collaborazione con l’Accademia della Crusca, quattro anni con Zanichelli, diciotto anni di insegnamento all’Università di Firenze e, dal 2021, un ruolo da ricercatrice presso la stessa università, Vera Gheno ci accompagna in un viaggio allucinato attraverso parole, visioni e nei mondi futuri di Gibson.
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E tu, l’hai letto?
«Vi prego non equivocate. Eravamo stati madri, padri. Eravamo stati mariti per molti anni, uomini importanti, che erano giunti qui, in quel primo giorno, accompagnati da folle così immense e affrante che, ondeggiando per udire l’orazione, avevano danneggiato le siepi senza rimedio. Eravamo stati madri, dirottate qui durante il parto, private della nostra soavità dal nudo dolore di quella circostanza, che si lasciavano dietro mariti innamorati, così tormentati dall’orrore di quegli ultimi istanti (il pensiero che il dolore ci aveva precipitato in quell’orribile buco nero separandoci da noi stesse) da non essere più riusciti ad amare. Eravamo stati uomini atticciati, tranquilli e appagati che, nella prima gioventù, si erano resi conto della loro normalità e avevano, allegramente (come accettando perplessi un pesante fardello), trovato un altro scopo nella vita; non potendo essere eccezionali, ci saremmo resi utili; saremmo stati ricchi, magnanimi, e dunque in grado di fare il bene; sorridenti, mani in tasca, contemplavamo il mondo che avevamo reso un po’ migliore lungo il cammino (riempiendo il baule di una sposa; pagando in segreto gli studi a qualcuno). Eravamo stati domestici affabili, scherzosi, a cui i padroni si erano affezionati grazie alle parole d’incoraggiamento che rivolgevamo loro mentre muovevano incontro a giorni densi d’importanza. Eravamo stati nonne, schiette e pazienti, destinatarie di oscuri segreti, che, grazie alla capacità di ascoltare senza giudicare, concedevano un tacito perdono, lasciando così entrare il sole. Con questo voglio dire che eravamo stati notevoli. Eravamo stati amati. Non soli, perduti, stravaganti, ma saggi, ognuno a modo proprio. La nostra dipartita aveva causato dolore. Quelli che ci avevano amato sedevano sul letto con la testa fra le mani; abbassavano la faccia sul tavolo, emettendo versi animaleschi. Eravamo stati amati, ripeto, e ricordandoci, anche a molti anni di distanza, le persone sorridevano, allietate per un attimo da quelle memorie.
reverendo everly thomas
Eppure.
roger bevins III
Eppure mai nessuno era venuto qui a prenderci tra le braccia, parlandoci con tanta tenerezza.
hans vollman
Mai.
roger bevins III»
Questo era un estratto di Lincoln nel bardo di Georges Saunders. È il 1862 e Abraham Lincoln si ritrova a dover affrontare due guerre: quella civile e quella interiore.
Willie Lincoln, figlio di undici anni del presidente degli Stati Uniti si ammala gravemente e muore e da quel momento in poi Abraham Lincoln continuerà a visitare, tutte le notti, la cripta del bambino in maniera ossessiva. Il Bardo è il luogo in cui la storia si sviluppa, è il limbo in cui restano intrappolati Lincoln e suo figlio: tra vita e morte. Lincoln nel bardo è il capolavoro corale che Serena Daniele, la nostra ospite di oggi, ha deciso di portare.
I libri sono uno spazio concreto che ci permettono di dare forma a storie che credevamo impossibili e ci vuole maestria per riuscire a trovarle, dargli valore ma soprattutto dargli una possibilità. Serena Daniele che fa questo da moltissimi anni, lei è una Senior Associate Editor di NN Editore e da sempre seleziona e propone nuove storie per dare loro una luce. Tra il 1998 e il 2011 cura la prima edizione della serie Harry Potter e dei titoli correlati, e lavora con autori italiani e stranieri su testi di fiction e non fiction.
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E tu, l’hai letto?
“E fa qualcosa, l’hai trovato il buco?”
“Sì, sì...” Mostra la bustina di neve, non appena la metterà in vena Bibo si riprenderà e allora sì che lo potranno portare da qualche parte o chiamare l’assistenza oppure ne penseranno qualcun’altra, magari solo metterlo a letto. Ma intanto Bibo rantola e balbetta e si contorce lo stomaco e dice che si sente tutto un muscolo tirato verso il basso e che se non lo reggono forte ci si annegherà in tutta quella merda e se ne andrà giù per la latrina e soffocherà nel buco delle fogne e poi morirà Rinoooo tienmi il braccio diocane che sto cadendo!!!
Giusy si smuove d’un colpo da quell’intontimento. Gli scopre le braccia, bestemmia. “Non c’ha vene, cazzo Rino non c’ha più vene buone!” Rino grida di fare presto che non ne può più, “Avanti sbrigati!”.
Giusy gli stringe il laccio ma le vene non escono, gli incavi lividi e neri e più su macchie gialle di sangue rappreso, niente da fare. Allora gli afferra il cazzo, lo tira su e giù, tenta di masturbarlo, farglielo diventare duro, Bibo continua a sudare e svuotarsi di merda acquosa e sbavare e sempre grida di tenerlo lontano da quel buco che sta scivolando, lentamente ma scivola, perdio è già nella merda fino alla pancia e ficca le unghie nelle braccia di Rino che bestemmia e guarda Giusy, la sua mano che scopre il cazzo del Bibo. “Ma che fai, sei pazzo?”
“Taci imbecille, taci!” grida “Vattene via! Prepara la siringa!” Liza si fa sulla porta, sbotta in un Oooooohhhhh e una bestemmia. “Stai alla porta cazzo” sbraita Rino “se entra qualcuno siamo fregati tutti!”
Questo era un estratto di Altri Libertini, romanzo di Pier Vittorio Tondelli del 1980. Libro iconico che ha segnato una generazione, e raccontato il suo tracollo. Forse il primo libro italiano che ha portato in scena la tossicodipendenza in modo diretto e brutale, un libro sospeso dal giudizio ma che riesce a farti sentire sporco e compromesso, insieme ai protagonisti. A portare questo libro e condividerlo con noi oggi è Federico Riccardo, classe 1991. I suoi primi libri, Il tempo è il binario di un tram,Le vie di mezzo-Esercizi di immobilità ha deciso di pubblicarli in crowdfunding con la casa editrice Bookabook. Nel 2023 Federico fonda “Topsy Kretts”, magazine online incentrato sul racconto breve.
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E tu, l’hai letto?
«Esiste tra l'atto d'amore e le pratiche di un torturatore una somiglianza impressionante», sentenziava il poeta preferito del mio sposo; avevo avuto modo di constatare parte di quella analogia sul mio letto di nozze. E ora la candela che stringevo mi rivelava la sagoma di un tavolo del supplizio. C'era anche una grande ruota, simile a quelle che avevo visto nelle litografie dei santi martiri, tra le raccolte di agiografie della mia vecchia nutrice. Poi, per un istante appena prima che la fiammella si spegnesse e io restassi immersa nell'oscurità più totale, scorsi i contorni di una figura metallica, chiusa da cerniere sul fianco e che sapevo dotata di punte acuminate al suo interno, quello strumento che porta il nome di Vergine di Ferro. Buio totale. E, tutto intorno, i ferri della mutilazione. Le pareti di questa spoglia camera di tortura erano in pietra viva e luccicavano come se trasudassero terrore. Ai quattro angoli della stanza erano collocate delle urne funerarie, forse etrusche e, sui treppiedi di ebano, incensieri fumanti lasciati da lui a riempire la stanza di tanfo sacerdotale. Vidi che tavolo, ruota e Vergine di Ferro erano disposti con una grandiosità adatta a delle statue, cosa che per un attimo mi confortò persuadendomi di essere al cospetto di un minuscolo museo della sua perversione, un luogo nel quale egli avesse installato quelle mostruosità solo allo scopo di contemplarle. Tuttavia al centro della stanza si ergeva un catafalco, una bara sinistra e presaga, di fattura rinascimentale, circondata da alti ceri bianchi. Ai piedi del feretro, stava un gran fascio di gigli identici a quelli di cui mi aveva riempito la stanza: erano sistemati in un vaso enorme smaltato di un rosso color sangue. Mi mancava il coraggio di guardare nel catafalco, ma sapevo di doverlo fare.»
Questo era un estratto de “La camera di sangue” di Angela Carter, opera vincitrice del Chelenham Festival Of Literature Award nel 1979 che Nicoletta Vallorani ha deciso di portare oggi.
Nicoletta Vallorani è professoressa di Letteratura inglese e Studi culturali presso l’Università degli studi di Milano e traduttrice. Autrice di romanzi e racconti di fantascienza, prima donna a vincere il premio Urania con il suo romanzo d’esordio “il cuore finto di DR (mondadori 1993)”.
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“Poterono sentire nell'ombra crepuscolare che venivan caricati i cannoni, mentre le micce accese, simili ad occhi di tigre nell'oscurità, formavano un cerchio intorno alle loro teste e tutti i cannonieri delle batterie inglesi s'avvicinavano ai cannoni; ed allora, commosso, tenendo sospeso su quegli uomini il minuto supremo, un generale inglese, Colville secondo alcuni, Maitland secondo altri, gridò loro: «Arrendetevi, valorosi francesi!» Cambronne rispose: «Merda!»
Questo estratto viene da I Miserabili di Victor Hugo, un libro pubblicato per la prima volta nel 1862 e che Andrea Kerbaker ha deciso di condividere con noi.
Andrea Kerbaker, classe 1960, docente all’Università Cattolica di Milano, autore di libri di narrativa e saggistica, giornalista. Tra i suoi libri ricordiamo: Coincidenze (2008), Breve storia del libro (2014), la vita segreta dei libri fantasma (2022). Nel 2012 apre la kasa dei libri, una casa-museo-biblioteca che conta più di 30mila volumi.
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«C’è una certa monotona uniformità nei destini degli uomini. Le nostre esistenze si svolgono secondo leggi antiche ed immutabili, secondo una loro cadenza uniforme ed antica. I sogni non si avverano mai e non appena li vediamo spezzati, comprendiamo a un tratto che le gioie maggiori della nostra vita sono fuori della realtà. Non appena li vediamo spezzati, ci struggiamo di nostalgia per il tempo che fervevano in noi. La nostra sorte trascorre in questa vicenda di speranze e di nostalgie. Mio marito morì a Roma nelle carceri di Regina Coeli, pochi mesi dopo che avevamo lasciato il paese. Davanti all'orrore della sua morte solitaria, davanti alle angosciose alternative che precedettero la sua morte, io mi chiedo se questo è accaduto a noi, a noi che compravamo gli aranci da Girò e andavamo a passeggio nella neve. Allora io avevo fede in un avvenire facile e lieto, ricco di desideri appagati, di esperienze e di comuni imprese. Ma era quello il tempo migliore della mia vita e solo adesso che m'è sfuggito per sempre, solo adesso lo so.»
Le piccole virtù è il romanzo di Natalia Ginzburg che Isabella De Silvestro ha scelto di portarci. Un testo del 1962 articolato in undici memorie che si muovono tra l’autobiografia, il saggio e il racconto. Undici modi di sentire fatti, luoghi, gesti, voci.
Isabella De Silvestro classe 1997 laureata in storia, giornalista freelance, divulgatrice e autrice. Ha ideato, scritto e narrato ‘’Gattabuia’’ per Domani.
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«Nella vita di ognuno esistono momenti – quando la porta sbattuta all’improvviso e senza alcun visibile motivo di colpo si riapre, quando lo spioncino chiuso un attimo fa viene di nuovo aperto, quando un brusco ‘no’ sembrava irrevocabile si muta in ‘forse’ -, momenti in cui il mondo intorno a noi si trasfigura, e noi stessi ci riempiamo di speranza come di nuovo sangue.»
Il giunco mormorante è romanzo del 1990 di Nina Berberova, edito da Adelphi e tradotto da Donatella Sant’Elia. Due amanti si separano a Parigi, all’inizio dell’ultima guerra e in meno di cento pagine attraversiamo la perdita, l’amore e la volontà di rimanere fedeli alla proprio libertà
individuali della protagonista.
Ne parliamo insieme a Giorgio Fontana, autore di romanzi, articoli, saggi, e co-autore di un reportage a fumetti. Da Saronno, a Caronno Pertusella, fino poi a Milano. Il suo percorso lo ha portato a diventare insegnante di vari corsi di scrittura.
Tra le sue pubblicazioni più famose “Morte di un uomo felice” (Sellerio) col quale nel 2014 ha vinto il premio Campiello, “Un solo Paradiso” (Sellerio, 2016) e “Lamiere” (Feltrinelli, 2017).
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«Tu non sai, non puoi capire com’è brutto! Mi sembra che potrei fare qualsiasi cosa quando mi arrabbio, divento una furia, potrei far del male a chiunque e goderne. E ho paura che un giorno o l’altro farò qualcosa di terribile, mi rovinerò e tutti mi odieranno»
Piccole donne di Louisa May Alcott viene pubblicato negli Stati Uniti nel 1868, e arriva tra le mani della nostra ospite, Roberta Lippi, all’inizio degli anni 80 - o almeno così ricorda.
Scrittrice, autrice televisiva e radiofonica, podcaster (Soli e Love bombing sono i suoi podcast più famosi), tutor e docente in numerosi corsi di formazione sul tema dei media education e giornalismo multimediale, Roberta Lippi sembra aver già vissuto molte vite, spaziando a livello creativo, tematico e geografico.
è di Piccole donne che ha scelto di parlare con Ruben Rossi, insieme attraversano argomenti come, il mondo del cinema, le realtà settarie, il femminismo e anche ovviamente i legami famigliari.
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Ti porto un libro è il vodcast che esplora il mondo della letteratura attraverso storie, idee e riflessioni.
Come in una libreria, ci muoviamo tra scaffali pieni di racconti, alla ricerca di nuovi titoli da potersi suggerire.
Ogni puntata è un dialogo intimo in cui l’ospite condivide il suo libro più amato con Ruben Rossi, trasformando la conversazione in una guida attraverso esperienze personali e riflessioni più ampie.
Un viaggio per chi ama leggere, scoprire nuovi titoli e vivere la letteratura: Ti porto un libro è il vodcast che parla di libri, con chi i libri li fa, con chi i libri li divora ogni giorno e con chi ha fatto della letteratura la propria bussola all’interno del mondo.
Buon ascolto!