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Ci sono simboli che attraversano i secoli come fili d’oro nella trama della cultura.
La rosa è uno di questi: fragile e potente, terrena e celeste, fiore e concetto insieme.
Nel Medioevo essa divenne molto più di un’immagine ornamentale: fu la chiave di un intero universo mentale, la forma in cui si rispecchiava l’armonia del creato e la promessa di un ordine superiore.
Per l’uomo medievale, il mondo non era un insieme di oggetti, ma un tessuto di segni. Ogni cosa – pietra, fiore, animale, stella – custodiva un significato da decifrare.
Capire significava interpretare, tradurre il visibile nell’invisibile.
E in questo linguaggio simbolico, la rosa occupava il centro: bianca come la verginità di Maria, rossa come il sangue del Cristo, perfetta come il cerchio delle vetrate gotiche che, nelle cattedrali, la trasformavano in luce teologica.
Nella rosa si incontravano i saperi: la teologia e la medicina, la poesia e l’alchimia, la botanica e la pittura.
Era una quintessenza, per usare la parola cara ai filosofi e agli alchimisti del tempo: la distillazione della purezza, la materia trasfigurata in spirito.
Ma in quella stessa immagine, la cultura medievale riconobbe anche il mistero della vita e della generazione.
Nel Roman de la Rose, nel linguaggio cortese e perfino nei testi sacri più audaci, la rosa diventa emblema dell’amore terreno, del desiderio che partecipa del divino perché rinnova la creazione.
Fiore della carne e del cielo, la rosa custodisce insieme la promessa della verginità e l’ebbrezza dell’unione: il punto in cui la sensualità si fa linguaggio spirituale e il corpo diventa simbolo del mondo.
Eppure, dietro la devozione e la bellezza, si avverte anche un senso di smarrimento e di nostalgia.
La rosa è simbolo di purezza e di caducità, di rivelazione e di perdita: nasce per fiorire e per morire.
Nel suo profumo, il Medioevo riconosceva la fragilità dell’esistenza; nella sua forma perfetta, la tensione verso ciò che non muore.
Studiare la rosa nel Medioevo non significa soltanto inseguire un simbolo, ma comprendere un modo di pensare e di credere, in cui la conoscenza era sempre un atto morale.
Perché la bellezza, allora, non era evasione, ma via di accesso al vero.
E forse, in un tempo come il nostro – che tutto decifra ma poco comprende – tornare a quella rosa, alla sua grazia rigorosa e al suo segreto linguaggio, può ancora insegnarci a riconoscere nel mondo un senso, e in noi stessi un limite.
Nella puntata di oggi vi porto in un viaggio che attraversa uno dei decenni più intensi e contraddittori della nostra storia contemporanea: dagli slogan utopici del Sessantotto alle vetrine luminose dell’Italia anni Ottanta. È l’epoca in cui i giovani si illudono di poter cambiare il mondo, armati di musica rock, sogni rivoluzionari e fiori tra i capelli. Ma è anche il tempo in cui la protesta si radicalizza, la tensione sale, e il piombo inizia a farsi sentire nelle piazze.
E poi, tutto cambia di colpo: la rivoluzione cede il passo alla televisione. Con l’arrivo dei colori sullo schermo, muta il linguaggio, cambiano i valori, e il desiderio di trasformare il mondo lascia spazio alla voglia di consumarlo.
Questa è una storia di generazioni a confronto, di passioni e disillusioni, di sogni collettivi e derive individuali. Dalla beat generation alla pubblicità, da Woodstock a Drive In: benvenuti in una puntata che racconta come l’immaginazione è andata al potere… e poi si è accomodata sul divano.
C’è stato un tempo in cui l’Italia si pensava invincibile.
Un tempo in cui la Costituzione sembrava il motore del riscatto, la scuola un ascensore sociale, e la politica uno strumento per cambiare davvero le cose.
In questa puntata attraversiamo i decenni che vanno dal dopoguerra fino alla vigilia degli anni di piombo. Dalla ricostruzione morale e materiale del Paese, al boom economico, alle grandi speranze democratiche. Ma poi, qualcosa si incrina.
Gli italiani iniziano a chiedere più giustizia, più uguaglianza, più Stato. La scuola, la sanità, le case, le regioni: tutto è da costruire.
E quando la politica sembra incepparsi, le risposte diventano violente. Le ideologie radicali avanzano, la tensione si alza, i partiti si irrigidiscono.
È il passaggio cruciale dall’entusiasmo alla disillusione, dall’unità al conflitto. E in quel clima, comincia la stagione più buia della Repubblica.
In questa puntata attraversiamo una frattura epocale della storia italiana: la stagione di Tangentopoli e la fine della Prima Repubblica.
Raccontiamo come, da un piccolo caso di concussione in una casa di riposo milanese, si arriva a scoperchiare un intero sistema di tangenti, connivenze politiche, appalti truccati, partiti finanziati illegalmente, imprenditori collusi e una nazione che scopre di essere governata da un intreccio patologico di politica e affari.
Dal lancio delle monetine contro Craxi davanti all’Hotel Raphael alle confessioni sotto torchio nel carcere di San Vittore, dai proclami del pool Mani Pulite al prelievo forzoso nei conti correnti degli italiani, l’Italia entra in una stagione di rabbia, smarrimento e trasformazione.
Una storia che parla di giustizia e vendetta, di dissoluzione e rifondazione. E sullo sfondo, lo sgretolarsi dei partiti storici e la nascita dei nuovi protagonisti della Seconda Repubblica.
In questa puntata ci tuffiamo negli anni ’80 italiani, tra televisione a colori, telecomando, pubblicità martellante e nascita del consumismo di massa. È il decennio in cui la figura dell’operaio perde centralità, l’industria si automatizza e la società si riempie di nuovi oggetti, nuovi valori, nuovi sogni: dalla Vespa alla Fininvest, dal boom del fast food alla seduzione delle immagini.
Ma non è solo un cambiamento culturale: è anche il tempo del debito pubblico che esplode, dell’avanzata del socialismo rampante di Craxi, della crisi della prima Repubblica che porterà a Tangentopoli e alla Seconda.
Una cavalcata tra economia, politica e linguaggio della modernità, per capire come l’Italia è diventata ciò che oggi conosciamo. E perché, in fondo, dagli anni ’80… non siamo mai davvero usciti.
In questa puntata raccontiamo il crollo della Jugoslavia: una delle vicende più drammatiche e complesse della fine del Novecento.
Ripercorriamo gli anni successivi alla morte di Tito, tra crisi economiche, tensioni etniche e un mosaico di repubbliche che si frantuma nel sangue.
Dalla guerra lampo in Slovenia alla devastazione della Croazia, dalla tragedia della Bosnia fino all’intervento della NATO in Kosovo, seguiamo l’emergere di leader nazionalisti, i massacri, le epurazioni e le illusioni spezzate di fratellanza.
È una storia che parla di confini, identità e violenza, ma anche del difficile equilibrio tra giustizia internazionale e memoria. Un’ultima lezione per capire come si rompe un paese — e quanto sia difficile ricomporlo.
In questa puntata raccontiamo la parabola storica della Jugoslavia, da progetto politico nato nel primo dopoguerra all’esperimento socialista di Tito, fino alla sua progressiva disgregazione.
Partiamo dal mosaico etnico e religioso dei Balcani, dal Regno dei Serbi, Croati e Sloveni, attraversiamo la guerra mondiale, la resistenza partigiana e la nascita della Jugoslavia titina, un paese a cavallo tra i due blocchi, corteggiato tanto dagli Stati Uniti quanto dall’URSS.
Parleremo di fratellanza e unità, di dittatura e autogestione, di staffette giovanili e film epici, ma anche di tensioni latenti, repressioni e differenze mai del tutto risolte.
Una storia affascinante e tragica, in bilico tra l’utopia e la frattura, che ci aiuta a capire come si costruisce — e come si frantuma — un’identità nazionale.
In questa puntata finale sul secondo dopoguerra italiano, raccontiamo la lunga e complessa parabola di un paese alle prese con contratti precari, pensioni misere, grandi opere incompiute e scandali infiniti.
La Seconda Repubblica si trascina tra sogni svaniti e debiti crescenti, mentre la figura di Silvio Berlusconi si impone al centro della scena: imprenditore, politico, comunicatore, eppure simbolo di un’Italia sempre più confusa, stanca, fragile.
Emergenze urbane, guerre all’estero, crisi internazionali, intercettazioni, minorenni, olgettine e lo spettro dello spread: tutto si mescola, e tutto sembra sfuggire di mano.
Una lezione che chiude un ciclo, ma lascia aperte molte domande. Perché il caos di allora somiglia fin troppo a quello di oggi.
In questa puntata finale attraversiamo gli anni 2000 e 2010, analizzando la lunga stagione politica dominata da Silvio Berlusconi, tra contratti televisivi e populismo pubblicitario, crisi di governo e conflitti d’interesse, tensioni sull'immigrazione e riforme a metà.
Ma il racconto va oltre la politica: si parla di declino demografico, fuga dei cervelli, sicurezza percepita, e quella sensazione profonda che il Paese abbia smarrito la fiducia in se stesso.
È una cronaca appassionata e lucida, che alterna ironia, dati e memoria personale, per restituire un'immagine senza filtri del percorso che ci ha condotti fino a oggi.
Una lezione che non cerca risposte semplici, ma pone le giuste domande: cosa resta della Seconda Repubblica? E cosa chiederà la Storia alle nuove generazioni?
In questa puntata raccontiamo il lungo e tormentato percorso dell’Italia verso l’adozione della moneta unica. Dagli anni ’70 di stagflazione, inflazione galoppante e scala mobile, alla fine di Bretton Woods, fino al divorzio tra Banca d’Italia e Tesoro nel 1981. Poi gli anni ’90, con Tangentopoli, le privatizzazioni, l’austerità, la pressione fiscale crescente e la cessione di pezzi dello Stato. Tutto per rientrare nei parametri di Maastricht. L’Italia ce la fa, ma a quale prezzo?
Il debito esplode, la crescita rallenta, e un intero paese si piega sotto il peso del risanamento. Questa è la storia di un’Europa costruita a colpi di sacrifici, di una moneta nata per unire... ma che per l’Italia ha significato una lunga stagione di rinunce. Un racconto complesso, lucido, senza sconti, per capire da dove veniamo – e forse anche dove stiamo andando.
Da Bretton Woods ai petrodollari
Bombardamento di Roma e caduta di Mussolini
In questa puntata attraversiamo gli anni che preparano lo scoppio della Seconda guerra mondiale, con uno sguardo particolare alla politica di appeasement delle democrazie europee, ai calcoli e alle illusioni che hanno aperto la strada all’aggressività nazista. Parliamo della Cecoslovacchia, di Danzica, del patto Molotov-Ribbentrop — e della scommessa di Hitler, convinto che nessuno avrebbe avuto il coraggio di fermarlo.
Ma ci spostiamo anche in Italia: seguiamo il passo esitante e opportunistico del regime fascista, le illusioni imperiali, la disastrosa gestione della guerra nel Mediterraneo, fino allo sbarco alleato in Sicilia e alla caduta di Mussolini.
È un racconto che intreccia diplomazia, propaganda, ambizioni di potenza e rovinose impreparazioni. E che ci accompagna verso il punto di rottura: il 25 luglio 1943.
Il nazismo tra crisi economica e aspirazioni nazionalistiche
Comincia in un caffè di Vienna, tra sogni di pittura e opere di Wagner, la parabola incredibile di Adolf Hitler. In questa puntata ripercorriamo la sua ascesa, dal ragazzo austro-ungarico marginale al leader carismatico del nazionalsocialismo tedesco. Scopriamo le sue ossessioni, la nascita del partito nazista, l’importanza della propaganda, il culto della razza, e il ruolo decisivo delle SA e della violenza politica. Ma è con il rogo del Reichstag che Hitler compie il salto definitivo: sfrutta la paura per chiedere i pieni poteri e trasformare legalmente la Repubblica di Weimar in una dittatura. Una lezione intensa, ricca di aneddoti e riflessioni, che ci aiuta a capire come un uomo solo possa cambiare il destino di un intero popolo.
La Repubblica di Weimar sta crollando. Siamo alla fine degli anni ’20, la Germania è una democrazia fragile, appena risollevata dall’abisso dell’iperinflazione. Ma la crisi del ’29 è un colpo mortale: i prestiti americani svaniscono, la disoccupazione esplode, la paura torna a dominare.
In questo vuoto di certezze, un uomo torna alla ribalta: Adolf Hitler. Lo avevamo lasciato nel ’23, a capo di un colpo di Stato fallito. Lo ritroviamo ora leader del primo partito tedesco, eletto da milioni di cittadini.
Come è potuto accadere?In questa puntata seguiamo passo passo la fine della Repubblica di Weimar: tra instabilità politica, crisi economica, retorica nazionalista e consenso popolare. Ricostruiamo l’ascesa del nazismo non come un’improvvisa rottura, ma come l’esito di un processo, fatto di paure, promesse e rinunce.
La politica economica del fascismo
La politica estera italiana nel ventennio fascista
Altri esempi di strategie per la fascistizzazione degli italiani