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In effetti
Pregaudio
40 episodes
2 months ago
Non è possibile capire “dove andiamo” senza sapere “da dove veniamo”: occorre allora tornare al grande codice della cultura occidentale. Non solo, è utile osservare come questo, nel tempo, abbia prodotto degli “effetti” sulla cultura in generale. Il capitolo 24 di Luca può aiutarci ad attualizzare la questione: come i due diretti a Emmaus «conversavano tra loro di tutto quello che era accaduto», altrettanto potremmo fare oggi, conversando tra noi di tutto quello che è accaduto negli ultimi duemila anni. In generale, che tracce ha lasciato sul pianeta Terra l’evento Gesù Cristo? Nello specifico, quali effetti ha prodotto sulla cultura e nei diversi ambiti: la storia, la letteratura, la geografia, la scuola, la scienza, la filosofia, l’arte, la politica, la superstizione, l’etica e, avvicinandoci al nostro tempo, lo sport, i mass media, e via dicendo? Più precisamente: il mondo coi suoi mille risvolti, si è lasciato scalfire dalle pagine bibliche? Quanto, queste, hanno inciso nello svolgimento della “storia”? Ma soprattutto: quali “effetti” ha avuto su di essa?
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Christianity
Religion & Spirituality,
Spirituality
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Non è possibile capire “dove andiamo” senza sapere “da dove veniamo”: occorre allora tornare al grande codice della cultura occidentale. Non solo, è utile osservare come questo, nel tempo, abbia prodotto degli “effetti” sulla cultura in generale. Il capitolo 24 di Luca può aiutarci ad attualizzare la questione: come i due diretti a Emmaus «conversavano tra loro di tutto quello che era accaduto», altrettanto potremmo fare oggi, conversando tra noi di tutto quello che è accaduto negli ultimi duemila anni. In generale, che tracce ha lasciato sul pianeta Terra l’evento Gesù Cristo? Nello specifico, quali effetti ha prodotto sulla cultura e nei diversi ambiti: la storia, la letteratura, la geografia, la scuola, la scienza, la filosofia, l’arte, la politica, la superstizione, l’etica e, avvicinandoci al nostro tempo, lo sport, i mass media, e via dicendo? Più precisamente: il mondo coi suoi mille risvolti, si è lasciato scalfire dalle pagine bibliche? Quanto, queste, hanno inciso nello svolgimento della “storia”? Ma soprattutto: quali “effetti” ha avuto su di essa?
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Episodes (20/40)
In effetti
Cattedra, penna e libro (La Bibbia secondo Il Trono di Spade)
Testo della catechesiSi alza un portale, tre Guardiani della Notte oltrepassano un lungo tunnel che termina con un secondo portale, oltrepassato il quale vedono ciò che non avrebbero mai immaginato di vedere: gli Estranei! Solo uno di loro riesce a sopravvivere e, giunto a Grande Inverno, viene decapitato per aver detto quanto visto.. letteralmente un martire, dal greco mártys, “testimone”, colui che ha visto qualcosa e ne dà “testimonianza”. Alla sua esecuzione assiste, con occhi ben aperti, un giovanotto di nome Brandon. Ha appena dieci anni e gli viene chiesto di assistere come forma di rito iniziatico poiché, dice il padre alla moglie: «il bambino deve crescere, l’inverno sta arrivando». Brandon poco prima si stava esercitando con l’arco, ma aveva mancato più volte il bersaglio, azione che, nella Bibbia, è l’immagine più concreta per intendere il peccato. Nei boschi viene ritrovato un cervo morto, ucciso da un animale estinto ormai da anni, la metalupa, morta a sua volta a pochi metri, lasciando orfani cinque cuccioli, ognuno dei quali viene preso dai rispettivi figli di Eddard Stark, colui che ha decapitato il Guardiano nonché padre di Brandon. Un sesto cucciolo, tuttavia, «lo scarto della figliata», così si dice, viene affidato a Jon Snow, figlio “bastardo” di Eddard. Il sesto giorno, sempre nella Sacra Scrittura, Dio ha creato l’uomo.. (cfr. Gn 1,26-27). Pochi minuti e Jon, mentre a Grande Inverno si sta festeggiando per l’arrivo del re, incontra il nano Tyrion, che lo chiama bastardo, sentendosi rispondere: «Che ne sai di cosa provi un bastardo?». «I nani – gli fa eco Tyrion, in assoluto il personaggio più amato dal pubblico – sono bastardi agli occhi dei loro padri». L’episodio si chiude con qualcuno, questa volta Brandon, che vede qualcosa che non doveva vedere.. E nella Bibbia, ci sia concesso un ultimo accostamento (bugia!), Dio sceglie continuamente l’ultimo, il secondo, lo scarto, non certo i migliori e più quotati. Tale concetto ha la sua trasposizione “martiniana” nelle figure del nano e del bastardo. Ma di cosa stiamo parlando? Nei 62’ della prima puntata – che ci spoilera subito che il Regno di Dio è dei “piccoli”, in tutti i sensi – sono insomma concentrati quasi tutti gli elementi di una saga fantasy pazzesca, carica di sesso quanto violenta, capace di mostrare risvolti politici quanto religiosi, psicologici quanto sociologici, atavici quanto attuali.  Il titolo che abbiamo voluto dare a questo episodio della rubrica In effetti, che indaga la serie tv de Il Trono di Spade, è già gravido di intenti: se la cattedra, dal greco “sedia (a braccioli)”, è simbolo di autorità e potere, in chiesa come a scuola, il trono ne è la sua forma diciamo così “imperiale”; la  penna è invece lo strumento capace di mettere “nero su bianco” quanto la parola afferma, ma «la parola di Dio è viva, efficace e più tagliente di ogni spada a doppio taglio», recita la Lettera agli Ebrei (4,12), mentre in quella agli Efesini san Paolo invita i suoi a prendere «la spada dello Spirito, che è la parola di Dio» (6,17), ragion per cui viene spesso raffigurato con quest’arma in mano; il libro, infine, è l’oggetto fisico che contiene e trasmette quanto narrato, nella Bibbia come nel romanzo de Le cronache del ghiaccio e del fuoco di George R.R.Martin, che ha ispirato l’adattamento televisivo di  Game of thrones, la serie tv andata in onda dal 2011 al 2019 attraverso 73 episodi, proprio come il numero dei libri che compongono la Bibbia cattolica, ma prendiamolo come un caso..          A crearla sono stati David Benioff (pseudonimo di David Friedman), la cui famiglia ha origini ebraiche e già noto per l’adattamento cinematografico de Il cacciatore di aquiloni, e l’appassionato di videogiochi Daniel Brett Weiss. Durante l’eucaristia di una settimana di evangelizzazione di strada a Riccione, datata ormai nel lontano 2003, il fiorentino don Gianni Castorani disse durante l’omelia: «Preghiamo affinché i VIP si convertano!». È la serie tv statunit...
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2 years ago
48 minutes

In effetti
Cattedra, penna e libro (La Bibbia secondo Il Trono di spade)
Si alza un portale, tre Guardiani della Notte oltrepassano un lungo tunnel che termina con un secondo portale, oltrepassato il quale vedono ciò che non avrebbero mai immaginato di vedere: gli Estranei! Solo uno di loro riesce a sopravvivere e, giunto a Grande Inverno, viene decapitato per aver detto quanto visto.. letteralmente un martire, dal greco mártys, “testimone”, colui che ha visto qualcosa e ne dà “testimonianza”. Alla sua esecuzione assiste, con occhi ben aperti, un giovanotto di nome Brandon. Ha appena dieci anni e gli viene chiesto di assistere come forma di rito iniziatico poiché, dice il padre alla moglie: «il bambino deve crescere, l’inverno sta arrivando». Brandon poco prima si stava esercitando con l’arco, ma aveva mancato più volte il bersaglio, azione che, nella Bibbia, è l’immagine più concreta per intendere il peccato. Nei boschi viene ritrovato un cervo morto, ucciso da un animale estinto ormai da anni, la metalupa, morta a sua volta a pochi metri, lasciando orfani cinque cuccioli, ognuno dei quali viene preso dai rispettivi figli di Eddard Stark, colui che ha decapitato il Guardiano nonché padre di Brandon. Un sesto cucciolo, tuttavia, «lo scarto della figliata», così si dice, viene affidato a Jon Snow, figlio “bastardo” di Eddard. Il sesto giorno, sempre nella Sacra Scrittura, Dio ha creato l’uomo.. (cfr. Gn 1,26-27). Pochi minuti e Jon, mentre a Grande Inverno si sta festeggiando per l’arrivo del re, incontra il nano Tyrion, che lo chiama bastardo, sentendosi rispondere: «Che ne sai di cosa provi un bastardo?». «I nani – gli fa eco Tyrion, in assoluto il personaggio più amato dal pubblico – sono bastardi agli occhi dei loro padri». L’episodio si chiude con qualcuno, questa volta Brandon, che vede qualcosa che non doveva vedere.. E nella Bibbia, ci sia concesso un ultimo accostamento (bugia!), Dio sceglie continuamente l’ultimo, il secondo, lo scarto, non certo i migliori e più quotati. Tale concetto ha la sua trasposizione “martiniana” nelle figure del nano e del bastardo. Ma di cosa stiamo parlando? Nei 62’ della prima puntata – che ci spoilera subito che il Regno di Dio è dei “piccoli”, in tutti i sensi – sono insomma concentrati quasi tutti gli elementi di una saga fantasy pazzesca, carica di sesso quanto violenta, capace di mostrare risvolti politici quanto religiosi, psicologici quanto sociologici, atavici quanto attuali.   Il titolo che abbiamo voluto dare a questo episodio della rubrica In effetti, che indaga la serie tv de Il Trono di Spade, è già gravido di intenti: se la cattedra, dal greco “sedia (a braccioli)”, è simbolo di autorità e potere, in chiesa come a scuola, il trono ne è la sua forma diciamo così “imperiale”; la  penna è invece lo strumento capace di mettere “nero su bianco” quanto la parola afferma, ma «la parola di Dio è viva, efficace e più tagliente di ogni spada a doppio taglio», recita la Lettera agli Ebrei (4,12), mentre in quella agli Efesini san Paolo invita i suoi a prendere «la spada dello Spirito, che è la parola di Dio» (6,17), ragion per cui viene spesso raffigurato con quest’arma in mano; il libro, infine, è l’oggetto fisico che contiene e trasmette quanto narrato, nella Bibbia come nel romanzo de Le cronache del ghiaccio e del fuoco di George R.R.Martin, che ha ispirato l’adattamento televisivo di  Game of thrones, la serie tv andata in onda dal 2011 al 2019 attraverso 73 episodi, proprio come il numero dei libri che compongono la Bibbia cattolica, ma prendiamolo come un caso..          A crearla sono stati David Benioff (pseudonimo di David Friedman), la cui famiglia ha origini ebraiche e già noto per l’adattamento cinematografico de Il cacciatore di aquiloni, e l’appassionato di videogiochi Daniel Brett Weiss. Durante l’eucaristia di una settimana di evangelizzazione di strada a Riccione, datata ormai nel lontano 2003, il fiorentino don Gianni Castorani disse durante l’omelia: «Preghiamo affinché i VIP si convertano!». È la serie tv statunitense Of kings and pr...
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2 years ago
48 minutes

In effetti
Nemici mai...per chi si cerca come noi (Bibbia e Scienza)
Testo della catechesi«Prof.. sa.. io l’ammiro molto, da grande voglio diventare come lei: appassionato della sua materia e ateo!». Con quest’affermazione un adolescente riminese si è rivolto al suo docente di Scienze Naturali, sentendosi rispondere in tutta franchezza: «Mi fa molto piacere, ma io non sono ateo..». Sorpreso e sconcertato che un uomo di scienza come lui potesse rimettere allo stesso tempo la propria vita nella mani di Dio, beh, sconvolse non poco l’alunno.. Il titolo di questa puntata, rivisitazione della celebre canzone di Antonello Venditti, vorrebbe provare a sfatare un falso mito, quello cioè che vede fede e scienza come antagoniste, il tutto, ovviamente, partendo dal e in relazione al testo biblico.  Siamo fatti “ad immagine e somiglianza di Dio”, come attesta il primo libro della Bibbia (cfr. Gn 1,26), o “ad immagine e somiglianza della scimmia”, come attesta Charles Darwin? Detto altrimenti: siamo capaci di trascendere la nostra biologia o siamo appena un ammasso di istinti e “natura”? E ancora, se è vero che ogni essere a modo suo comunica, come mai apparteniamo all’unica specie dotata di linguaggio? La risposta risiede forse in quel Dio biblico che è Logos e Verbum, Ragione e Parola?  Anzitutto, cos’è la scienza? Cosa si intende con questa vocabolo? Stando alle prime parole della celebre enciclopedia online Wikipedia, o Wikipidia per dirla all’inglese, «La scienza è un sistema di conoscenze ottenute attraverso un’attività di ricerca prevalentemente organizzata con procedimenti metodici e rigorosi, coniugando la sperimentazione con ragionamenti logici condotti a partire da un insieme di assiomi, tipici delle discipline formali. Uno dei primi esempi del loro utilizzo lo si può trovare negli Elementi di Euclide, mentre il metodo sperimentale, tipico della scienza moderna, venne introdotto da Galileo Galilei, e prevede di controllare continuamente che le osservazioni sperimentali siano coerenti con le ipotesi e i ragionamenti svolti». Il Dizionario etimologico della Zanichelli afferma che si tratta di un «complesso di risultati dell’attività speculativa umana volta alla conoscenza di cause, leggi, effetti intorno ad un determinato ordine di fenomeni, e basata sul metodo, lo studio e l’esperienza». Un altro poderoso tomo, il Dizionario dei sinonimi e dei contrari di Aldo Gabrielli, come contrari di scienza cita: «ignoranza, asineria, imperizia, fanatismo, mezza scienza, infarinatura, pregiudizio, mito (e) dogmatismo».. mooooolto interessante! Dunque sia “sistema di conoscenze” sia “complesso di risultati volti alla conoscenza”, per cui occorre chiedersi cosa sia la conoscenza, ovvero, stando all’ultima fonte, «la facoltà.. (e l’) effetto del conoscere», cioè «l’apprendere con l’intelletto, sapere qualche cosa». Questa catena di domande ci porta allora alla sapienza che, è ancora lo Zanichelli a dircelo, è «il più alto grado di conoscenza delle cose». Nella Bibbia cosa s’intende per sapienza? Prima della sua stesura, il lontano passato è stato caratterizzato da ciò che oggi chiamiamo genericamente “superstizione”: «Nel mondo pagano antico – scrive lo storico e giornalista Francesco Agnoli nel suo libro Scienziati, dunque credenti – vigeva l’idea animista: ogni cosa è animata.. tutto è abitato da presenze spirituali (ninfe, gnomi, folletti, troll..) che rendevano la natura superiore all’uomo», ragion per cui quest’ultimo era costretto a propiziarsi queste entità. I primi a sganciarsi da questa visione della vita furono i filosofi greci, che nella natura videro un certo ordine.. Il testo di Agnoli si apre con un’affermazione provocatoria quanto netta: «Chi sono i padri, gli “inventori” della scienza moderna come oggi la conosciamo?»; per poi rispondere qualche riga dopo: «l’autore della Genesi e, tramite lui, il Dio di Abramo, Isacco, Giacobbe; e dopo di lui, sant’Agostino, sant’Ambrogio, gli apologeti cristiani dei primi secoli, e, con loro, migliaia e migliaia di altri predicatori, confessori, teologi, fil...
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2 years ago
29 minutes

In effetti
L'ultimo nemico che sarà sconfitto (La Bibbia secondo J.K.Rowling)
Testo della catechesi Tra i successi editoriali più importanti di sempre compare la saga di Harry Potter, sette libri editi in Italia tra il 1998 e il 2007, resi ancor più celebri dalla trasposizione cinematografica realizzata dalla Warner Bros (società fondata nel 1918 da quattro fratelli, uno dei quali si chiamava casualmente Harry), che ne ha acquisito i diritti nel 1999, presentando la saga nelle sale di tutto il mondo tra il 2001 e il 2011: otto film (i Doni della Morte è stato infatti diviso in due pellicole) diventati la serie col più alto incasso della storia.  Il pastore protestante metodista Peter Ciaccio, laureatosi alla facoltà valdese di Teologia di Roma con una tesi sul regista Ingmar Bergman, nel 2011 ha dato vita a Il vangelo secondo Harry Potter, edito dalla Claudiana. Nello spassosissimo testo mette in luce, senza ovviamente contare la magia, che funge da elemento diciamo così, trasversale, le diverse tematiche affrontate dalla celebre saga della Rowling: l’adolescenza, il male, la responsabilità, la predestinazione, il sistema scolastico, il libero arbitrio, la vocazione e tante altre ancora, su tutte però la morte, o meglio l’elaborazione del lutto.   «Ognuno di noi – afferma l’autore – ha bene e male dentro di sé», come dimostra il fatto che Silente da giovane abbia causato la morte della sorella Ariana per orgoglio ed ambizione, riconoscendo però il male all’interno di sé stesso e decidendo di combatterlo, scegliendo di fare il professore e non il politico, ruolo che forse avrebbe maggiormente assecondato la sua ambizione. Lo stesso padre di Harry Potter in gioventù ha vestito i panni del bullo. Che dire poi di Severus Piton, mosso dal rancore per aver dovuto rinunciare al suo amore, eppur capace di sacrificarsi per la giusta causa?  Quanto al binomio magia-teologia è necessario affermare anzitutto che la loro rivalità è stata per secoli portata avanti dalla Chiesa (sia da parte cattolica sia protestante), talvolta in maniera ossessiva ed omicida: dalle inquisizioni contro le streghe alle battaglie mediatiche di oggi. Ma la magia in questa saga è parte della natura, teologicamente parlando del “creato”, non un imbroglio di Satana. Tali critiche alla magia la Rowling le sottolinea ad esempio attraverso i personaggi degli zii Vernon e Petunia Dursley, classici esempi di chi vive senza fantasia. Nella Bibbia leggiamo: «Non praticherete alcuna sorta di divinazione o di magia», ma il libro del Levitico (19,26b) non vieta di leggere o guardare Harry Potter, bensì di affidarsi a chi promette una vita migliore attraverso lo sfruttamento. Da questo punto di vista, precisa Ciaccio, si tratta di una saga contro il Superenalotto piuttosto che contro Maga Magò. Il testo citato, tra l’altro – sottolinea il pastore metodista – è preceduto dalla citazione «Non mangerete nulla che contenga sangue», che quasi tutti noi ignoriamo, pur non rinunciando ad essere cristiani..   Com’è possibile inoltre spiegare ai più piccoli, i prediletti da Dio, l’esistenza di un male radicale che neanche gli adulti comprendono? La risposta è già stata data da gran parte della letteratura per l’infanzia, pensiamo solamente a Pollicino, Pinocchio, Cappuccetto Rosso, e via dicendo.. Harry a scuola incontrerà sia il bene (rappresentato dal trio che forma con Ron ed Ermione) sia il male (Malfoy, Tiger e Goyle). La Rowling nel suo romanzo di formazione ha raccontato quindi l’adolescenza, identificata solitamente in quella fascia di età che va dagli undici ai diciotto-diciannove anni, non a caso quelli durante i quali si svolge l’intera saga, che accompagna Harry nel suo cammino adolescenziale appunto, e lo ha fatto ispirandosi sia ai grandi temi della letteratura per bambini sia al cristianesimo.  I temi della predestinazione e della vocazione sono invece ben sintetizzati dallo scambio tra Harry e il cappello parlante (in inglese sorting hat, “cappello selezionatore, di smistamento”) nel momento in cui il primo deve essere associato ad una delle...
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2 years ago
27 minutes

In effetti
Canzone senza fine (Bibbia e Musica)
2 years ago
23 minutes

In effetti
Il Principe dell'altro mondo (La Bibbia secondo Il Piccolo Principe)
Testo della catechesi«Se avessi fede, è ben certo che, passata quest’epoca.. non sopporterei altro che (il monastero di) Solesmes. Vedete, non si può vivere di frigoriferi, di politica.. e di parole crociate! Non si può più. Non si può vivere senza poesia, colore né amore». Con quest’affermazione, netta ed attualissima, l’aviatore Antoine Jean-Baptiste Marie Roger vergava una lettera ad un suo generale. Nato a Lione il 29 giugno 1900 da Jean de Saint-Exupery e Marie Boyer, dopo una vita trascorsa tra l’aviazione e la scrivania, o meglio in aereo e a scrivere libri, nel 1943 partorisce il suo capolavoro: Il Piccolo Principe. Appena un anno dopo, nonostante i divieti impostigli e i diversi incidenti aerei avuti riprende a volare, fino al 31 luglio, giorno in cui, proprio come il piccolo principe, “ritorna sul sulla sua stella”.  Il libro si apre con la dedica all’amico ebreo comunista Leone Werth: «Domando perdono ai bambini di aver dedicato questo libro a una persona grande.. il miglior amico che abbia al mondo», per poi correggerla, dato che «Tutti i grandi sono stati bambini una volta»: “A Leone Werth, quando era bambino”.  Ciò che più ci interessa in questa sede è il possibile legame tra Il Piccolo Principe e la Bibbia.. un azzardo? Vediamo. Se quest’ultima è il libro più letto di sempre, o almeno il più posseduto, il primo nel 2017 ha superato le 300 traduzioni in diverse lingue e dialetti: dal gallurese al milanese, dal napoletano al friulano, dall’aragonese all’esperanto, e perfino in guaranì. È inoltre il testo più tradotto se si escludono quelli religiosi. Anzitutto, di cosa parla? I temi trattati sono molteplici e noti: se l’amicizia e l’amore costituiscono senza dubbio i temi poetici più alti della fiaba, è meraviglioso l’affetto del piccolo principe per la “sua” rosa, in francese une fleur, ma anche la rose.  Poi il silenzio, con la sua simbologia più profonda: non si raggiungono infatti i valori dello spirito se non nella concentrazione. Quindi il deserto, con la sua infinita solitudine, segno del silenzio dell’anima e immagine dell’aridità del cuore. L’esperienza del deserto Tonio – così lo chiamavano in famiglia – la visse a lungo, ma nei cieli assieme al suo aereo, un deserto celeste fatto di silenzio e ricerca di assoluto, rendendolo in qualche modo monaco del firmamento! E poi i temi dell’acqua e della sete, che simboleggiano le aspirazioni più profonde di ogni uomo e ne qualificano il progresso spirituale. Infine il segreto che la volpe confida al principino, forse la pagina più famosa e alta di tutti i libri di Sanit-Exupéry: «Il mio segreto è molto semplice: non si vede bene che con il cuore. L’essenziale è invisibile agli occhi». C’è poi un evidente richiamo all’importanza dei riti: «“Che cos’è un rito?” disse il piccolo principe. “Anche questa è una cosa da tempo dimenticata”, disse la volpe. “ È quello che fa un giorno diverso dagli altri giorni, un’ora dalle altre ore”». Già, cos’è un rito? Etimologicamente deriva dal latino ritus, che si riallaccia al sanscrito ritis, “andamento, disposizione, usanza”, traducibile pressappoco con “schema”. Esso tiene insieme ordine e disordine, almeno stando alla tesi del celebre sociologo francese Emile Durkheim. Il teologo e monaco benedettino Giorgio Bonaccorso ci ricorda poi che «L’uomo credente non è solo colui che ascolta la parola di Dio e le obbedisce, ma anche colui che sente, vede, percepisce, tocca quella stessa Parola». E ancora: «Nel cristianesimo.. l’uomo non è obbedienza senza essere emozione, non è conoscenza senza essere passione, non è ascolto senza essere contatto, non è parola senza essere spazio e tempo, gesto e azione, immagine e suono, musica, danza, arte». Tutti elementi che il capolavoro di Saint-Exupéry ci ha regalato a piene mani. Quanto alle possibili chiavi di lettura del romanzo, ne sono state fornite tantissime: dalla creatività tipica dell’infanzia al coraggio di scoprire; dall’amicizia all’amore; da chi lo ritiene un saggio sulla resp...
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2 years ago
26 minutes

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Il Principe dell'altro mondo (La Bibbia secondo Il Piccolo Principe)
Testo della catechesi«Se avessi fede, è ben certo che, passata quest’epoca.. non sopporterei altro che (il monastero di) Solesmes. Vedete, non si può vivere di frigoriferi, di politica.. e di parole crociate! Non si può più. Non si può vivere senza poesia, colore né amore». Con quest’affermazione, netta ed attualissima, l’aviatore Antoine Jean-Baptiste Marie Roger vergava una lettera ad un suo generale. Nato a Lione il 29 giugno 1900 da Jean de Saint-Exupery e Marie Boyer, dopo una vita trascorsa tra l’aviazione e la scrivania, o meglio in aereo e a scrivere libri, nel 1943 partorisce il suo capolavoro: Il Piccolo Principe. Appena un anno dopo, nonostante i divieti impostigli e i diversi incidenti aerei avuti riprende a volare, fino al 31 luglio, giorno in cui, proprio come il piccolo principe, “ritorna sul sulla sua stella”.  Il libro si apre con la dedica all’amico ebreo comunista Leone Werth: «Domando perdono ai bambini di aver dedicato questo libro a una persona grande.. il miglior amico che abbia al mondo», per poi correggerla, dato che «Tutti i grandi sono stati bambini una volta»: “A Leone Werth, quando era bambino”.  Ciò che più ci interessa in questa sede è il possibile legame tra Il Piccolo Principe e la Bibbia.. un azzardo? Vediamo. Se quest’ultima è il libro più letto di sempre, o almeno il più posseduto, il primo nel 2017 ha superato le 300 traduzioni in diverse lingue e dialetti: dal gallurese al milanese, dal napoletano al friulano, dall’aragonese all’esperanto, e perfino in guaranì. È inoltre il testo più tradotto se si escludono quelli religiosi. Anzitutto, di cosa parla? I temi trattati sono molteplici e noti: se l’amicizia e l’amore costituiscono senza dubbio i temi poetici più alti della fiaba, è meraviglioso l’affetto del piccolo principe per la “sua” rosa, in francese une fleur, ma anche la rose.  Poi il silenzio, con la sua simbologia più profonda: non si raggiungono infatti i valori dello spirito se non nella concentrazione. Quindi il deserto, con la sua infinita solitudine, segno del silenzio dell’anima e immagine dell’aridità del cuore. L’esperienza del deserto Tonio – così lo chiamavano in famiglia – la visse a lungo, ma nei cieli assieme al suo aereo, un deserto celeste fatto di silenzio e ricerca di assoluto, rendendolo in qualche modo monaco del firmamento! E poi i temi dell’acqua e della sete, che simboleggiano le aspirazioni più profonde di ogni uomo e ne qualificano il progresso spirituale. Infine il segreto che la volpe confida al principino, forse la pagina più famosa e alta di tutti i libri di Sanit-Exupéry: «Il mio segreto è molto semplice: non si vede bene che con il cuore. L’essenziale è invisibile agli occhi». C’è poi un evidente richiamo all’importanza dei riti: «“Che cos’è un rito?” disse il piccolo principe. “Anche questa è una cosa da tempo dimenticata”, disse la volpe. “ È quello che fa un giorno diverso dagli altri giorni, un’ora dalle altre ore”». Già, cos’è un rito? Etimologicamente deriva dal latino ritus, che si riallaccia al sanscrito ritis, “andamento, disposizione, usanza”, traducibile pressappoco con “schema”. Esso tiene insieme ordine e disordine, almeno stando alla tesi del celebre sociologo francese Emile Durkheim. Il teologo e monaco benedettino Giorgio Bonaccorso ci ricorda poi che «L’uomo credente non è solo colui che ascolta la parola di Dio e le obbedisce, ma anche colui che sente, vede, percepisce, tocca quella stessa Parola». E ancora: «Nel cristianesimo.. l’uomo non è obbedienza senza essere emozione, non è conoscenza senza essere passione, non è ascolto senza essere contatto, non è parola senza essere spazio e tempo, gesto e azione, immagine e suono, musica, danza, arte». Tutti elementi che il capolavoro di Saint-Exupéry ci ha regalato a piene mani. Quanto alle possibili chiavi di lettura del romanzo, ne sono state fornite tantissime: dalla creatività tipica dell’infanzia al coraggio di scoprire; dall’amicizia all’amore; da chi lo ritiene un saggio sulla resp...
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2 years ago
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La salvezza a colori. (La Bibbia secondo Giotto)
Testo della catechesiGiotto, probabile diminutivo di Ambrogio, Biagio o Agnolo, nasce nel 1267 a Colle di Vespignano (oggi frazione di Vicchio), nella zona collinare del Mugello, vicino a Firenze. Dei genitori conosciamo solo il nome del padre, l’agricoltore Bondone, che quando il figlio ha circa dieci anni, un giorno come tanti lo porta a pascolare il gregge, ma quel giorno – così narra un’accreditata leggenda – sarà diverso da tutti gli altri (come accadde ad un altro celebre pastore, il re Davide!), perché viene notato dal più famoso pittore italiano, Cimabue, mentre sta scarabocchiando su una roccia.. l’artista non ha esitazione: lo vuole nella sua bottega! Il giovanotto non se lo fa ripetere due volte e lo segue. «Quello scarabocchio su un sasso – sottolinea lo storico dell’arte Stefano Zuffi – era l’inizio di una rivoluzione, una delle più decisive nell’arte occidentale: il passaggio dal simbolo alla realtà», e questo perché se «Cimabue considera la pittura come piano disteso in superficie, Giotto invece come una profondità da colmare.. sta nascendo la prospettiva, il sistema di “vedere oltre”, per andare al di là dello schermo». Intorno ai ventitre anni sposa la fiorentina Ciuta di Lapo del Pela, dalla quale avrà otto figli, equamente divisi in maschi e femmine. Qualche anno dopo è ad Assisi per dipingere le volte e parte della navata della basilica superiore di san Francesco, in cui il patrono d’Italia è sepolto da una sessantina d’anni. Nell’anno 1300 è invece a Roma per dipingere la scena che ritrae Bonifacio VIII nell’atto di indire, con la bolla Antiquorum habet fida relatio del 22 febbraio, il primo giubileo della storia cristiana, evento straordinario che fece accorrere nella città eterna (in qualità di pellegrini per lucrare l’indulgenza) il suo maestro Cimabue e Dante Alighieri, che in questo clima spirituale e culturale immagina il suo viaggio ultraterreno, proprio “durante” la Settimana Santa di quell’anno. Nello stesso anno con ogni probabilità si reca a Rimini, dove realizza uno splendido Crocifisso, attualmente conservato nel duomo. Tra il 1303 e il 1305 soggiorna a Padova, periodo in cui viene costruita e decorata la celebre Cappella degli Scrovegni. Forse è in questo momento che incontra Dante.. Nel 1327 si iscrive all’Arte dei Medici e degli Speziali di Firenze, la stessa corporazione di cui faceva parte Dante trent’anni prima. Nel frattempo vede “sistemarsi” diversi figli: Francesco diventa priore della chiesa di San Martino a Vespignano, paese natale del padre, Caterina e Chiara si sposano (la prima con un pittore), mentre Bice diventa terziaria francescana. Nel 1334 è nominato magister et gubernator dell’Opera di Santa Reparata, il cantiere della cattedrale di Firenze. Il 18 giugno getta le fondamenta per il campanile, cui darà il nome. Ma veniamo al focus del nostro tema: quale contributo biblico ci ha lasciato? Nel libro Giotto e Dante. Paradiso per due, il già citato Zuffi mette in parallelo le vite di questi due mostri sacri e precisa come il pittore sia «il primo artista a diventare davvero popolare, nel più pieno senso della parola». Per quanto riguarda la Cappella degli Scrovegni, l’autore non manca di esaltarne il valore: «sono fermamente convinto – scrive – che ogni cittadino italiano abbia il diritto, anzi, il dovere, di visitar(la).. almeno una volta nella vita», ma non esita neppure a polemizzare sull’attuale utilizzo del luogo: «E certamente di potersi fermare più a lungo dello striminzito quarto d’ora attualmente concesso ai visitatori». Come dargli torto? Ma Zuffi non risparmia nemmeno lo stesso artista: «Il primo miracolo compiuto da Cristo, tramutare l’acqua in vino – riferendosi ovviamente all’episodio di Cana – , doveva essere molto gradito a Giotto, frequentatore di feste e allegre compagnie». Ah.. Le opere legate al suo “percorso biblico”, se così possiamo dire, se si eccettua la Cappella degli Scrovegni non sono tantissime: cinque volte ritrae la Vergine, sette la Crocifissio...
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2 years ago
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La salvezza a colori. (La Bibbia secondo Giotto)
Testo della catechesiGiotto, probabile diminutivo di Ambrogio, Biagio o Agnolo, nasce nel 1267 a Colle di Vespignano (oggi frazione di Vicchio), nella zona collinare del Mugello, vicino a Firenze. Dei genitori conosciamo solo il nome del padre, l’agricoltore Bondone, che quando il figlio ha circa dieci anni, un giorno come tanti lo porta a pascolare il gregge, ma quel giorno – così narra un’accreditata leggenda – sarà diverso da tutti gli altri (come accadde ad un altro celebre pastore, il re Davide!), perché viene notato dal più famoso pittore italiano, Cimabue, mentre sta scarabocchiando su una roccia.. l’artista non ha esitazione: lo vuole nella sua bottega! Il giovanotto non se lo fa ripetere due volte e lo segue. «Quello scarabocchio su un sasso – sottolinea lo storico dell’arte Stefano Zuffi – era l’inizio di una rivoluzione, una delle più decisive nell’arte occidentale: il passaggio dal simbolo alla realtà», e questo perché se «Cimabue considera la pittura come piano disteso in superficie, Giotto invece come una profondità da colmare.. sta nascendo la prospettiva, il sistema di “vedere oltre”, per andare al di là dello schermo». Intorno ai ventitre anni sposa la fiorentina Ciuta di Lapo del Pela, dalla quale avrà otto figli, equamente divisi in maschi e femmine. Qualche anno dopo è ad Assisi per dipingere le volte e parte della navata della basilica superiore di san Francesco, in cui il patrono d’Italia è sepolto da una sessantina d’anni. Nell’anno 1300 è invece a Roma per dipingere la scena che ritrae Bonifacio VIII nell’atto di indire, con la bolla Antiquorum habet fida relatio del 22 febbraio, il primo giubileo della storia cristiana, evento straordinario che fece accorrere nella città eterna (in qualità di pellegrini per lucrare l’indulgenza) il suo maestro Cimabue e Dante Alighieri, che in questo clima spirituale e culturale immagina il suo viaggio ultraterreno, proprio “durante” la Settimana Santa di quell’anno. Nello stesso anno con ogni probabilità si reca a Rimini, dove realizza uno splendido Crocifisso, attualmente conservato nel duomo. Tra il 1303 e il 1305 soggiorna a Padova, periodo in cui viene costruita e decorata la celebre Cappella degli Scrovegni. Forse è in questo momento che incontra Dante.. Nel 1327 si iscrive all’Arte dei Medici e degli Speziali di Firenze, la stessa corporazione di cui faceva parte Dante trent’anni prima. Nel frattempo vede “sistemarsi” diversi figli: Francesco diventa priore della chiesa di San Martino a Vespignano, paese natale del padre, Caterina e Chiara si sposano (la prima con un pittore), mentre Bice diventa terziaria francescana. Nel 1334 è nominato magister et gubernator dell’Opera di Santa Reparata, il cantiere della cattedrale di Firenze. Il 18 giugno getta le fondamenta per il campanile, cui darà il nome. Ma veniamo al focus del nostro tema: quale contributo biblico ci ha lasciato? Nel libro Giotto e Dante. Paradiso per due, il già citato Zuffi mette in parallelo le vite di questi due mostri sacri e precisa come il pittore sia «il primo artista a diventare davvero popolare, nel più pieno senso della parola». Per quanto riguarda la Cappella degli Scrovegni, l’autore non manca di esaltarne il valore: «sono fermamente convinto – scrive – che ogni cittadino italiano abbia il diritto, anzi, il dovere, di visitar(la).. almeno una volta nella vita», ma non esita neppure a polemizzare sull’attuale utilizzo del luogo: «E certamente di potersi fermare più a lungo dello striminzito quarto d’ora attualmente concesso ai visitatori». Come dargli torto? Ma Zuffi non risparmia nemmeno lo stesso artista: «Il primo miracolo compiuto da Cristo, tramutare l’acqua in vino – riferendosi ovviamente all’episodio di Cana – , doveva essere molto gradito a Giotto, frequentatore di feste e allegre compagnie». Ah.. Le opere legate al suo “percorso biblico”, se così possiamo dire, se si eccettua la Cappella degli Scrovegni non sono tantissime: cinque volte ritrae la Vergine, sette la Crocifissio...
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La Salvezza a colori. (La Bibbia secondo Giotto)
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Cosa c'è da ridere? (Bibbia e buon umore)
2 years ago
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Cosa c'è da ridere? (Bibbia e buon umore)
Testo della catechesiSe l’umorismo – dal latino umor, “liquido” – è quell’inclinazione a cogliere gli aspetti più divertenti e paradossali della società, esso si esprime attraverso, e allo stesso tempo genera, quel riso che, secondo John Fitzgerald Kennedy è una delle sole tre cose ad esistere veramente, ma, siccome le atre due – Dio e la follia umana – non sono alla nostra portata, meglio concentrarsi sul terzo. È quel che faremo, partendo proprio dalle voci celebri che hanno tentato di definirlo: «sono nato piangendo mentre tutti ridevano – diceva Jim Morrison – , e morirò ridendo mentre tutti piangeranno». Non male. La bellissima Audrey Hepburn riteneva invece che «ridere sia il modo migliore per bruciare calorie». Fosse vero.. Ma si può ridere non solo della Bibbia, ma anche con essa? «Il riso è sacro» diceva il poliedrico Dario Fo, ricordando tra l’altro come il padre gli facesse notare che «quando un popolo non sa più ridere diventa pericoloso». Per Roberto Benigni «quando si ride ci si lascia andare, si è nudi, ci si scopre».. allora Adamo ed Eva ridevano di continuo, almeno prima del peccato d’origine, quella grande “malattia”, curabile appunto anche – sosteneva Robin Williams nel ruolo del medico Hunter “Patch” Adams – con la risata. Quest’ultima non è solo curativa, ma anche educativa, il pedagogista Gianni Rodari si chiedeva infatti: «vale la pena che un bambino impari piangendo quello che può imparare ridendo?». Ridere dice inoltre qualcosa di noi, tanto che se volete conoscere davvero un uomo, diceva Dostoevskij «guardate.. a come ride», perché, gli fa eco il poeta Pablo Neruda «ridere è il linguaggio dell’anima». E che ridere sia qualcosa di spirituale lo attesta anche Lorenzo Cherubini in arte Jovanotti, affermando che quando «uno ride, quello (è) veramente un momento in cui (ci) si aprono le porte della percezione e l’Eternità entra in noi», e in qualche modo anche lo scrittore Stephen King, sostenitore del fatto che si possa uccidere il male «seppellendolo di risate». Certo «non si può ridere di tutto e di tutti – sottolinea Nietzsche – ma ci si può provare». Ma «se non è consentito ridere (neppure) in paradiso – sembra rispondergli Lutero – , io non voglio andarci». Come dargli torto? Senza dimenticare che, il regista riminese Federico Fellini era del parere che «i comici sono i benefattori dell’umanità». Proviamo allora a ridere in tutti i sensi.. ci sia concessa a tal proposito la freddura di Roberto Antoni, eclettico artista bolognese meglio conosciuto con lo pseudonimo di Freak Antoni, il quale amava ripetere: «se sei muto ridi con gli occhi, se sei cieco ridi con la bocca. Se sei muto e cieco c’è ben poco da ridere». Un altro bolognese, questa volta il filosofo Carlo Sini, apre il suo saggio Il comico e la vita con un capitoletto intitolato Perché si ride, e afferma che «si è sempre riso e non si è mai finito di ridere; ma il come, il quando e il perché di questo fenomeno costante assumono di volta in volta espressioni differenziate, sensi storicamente e culturalmente mutevoli, finalità diverse, secondo abiti, norme, divieti, convenzioni che l’esperienza sollecita e il tempo modifica». E aggiunge: «Perché si ride? ..Una questione futile? Tutt’altro, una questione seria, sulla quale, come si dice, c’è poco da ridere». A partire dalle riflessioni degli antichi fa notare poi come «il riso (sia).. motivato dalla capacità di cogliere negli altri qualcosa di indecoroso.. difetto che li fa apparire appunto ridicoli o buffi o strani. In tal modo il riso sancisce la loro inferiorità rispetto a colui che ne ride». Quindi sottolinea come il comico sia capace di generare una sospensione della realtà, sorta di illusione teatrale che prevede sempre un “attore” e un “pubblico”. Quindi fa tre considerazioni generali: anzitutto il comico è un fatto sociale e comunitario, e a tal proposito distingue il riso che accoglie da quello che esclude l’altro: se il primo è ad esempio quello della madre, il secondo è proprio di ...
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2 years ago
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Ma quale gioco! (Bibbia e calcio)
2 years ago
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Ma quale gioco! (Bibbia e calcio)
Testo della catechesiChe legame può mai esserci tra il libro più posseduto al mondo (anche se il meno letto!?) e lo sport più famoso? Forse il binomio Bibbia e calcio non è così azzardato. Proviamo a dimostrarlo.. Anzitutto, come e quando è nato il calcio? Se la paternità di questo sport è rivendicata da più parti e risale agli albori delle civiltà, è quella cinese ad offrircene il primo documento, risalente addirittura al 1697 a.C.! Fu infatti l’imperatore Huang-Ti ad inventare il Tsu-Chu, letteralmente “palla di cuoio spinta col piede”. Ma c’è una cosa ancora più antica del calcio.. il gol, affermava Vezio Melegari nel suo Manuale del gol del 1974, «O meglio: lo è nella sua espressione linguistica originaria, il termine inglese goal. Questa magica paroletta – scrisse – ha origini incerte: forse, quando nacque, voleva dire bastone, o palo.. Certamente i britannici la usavano per indicare un limite, un confine, di quelli che si segnano, appunto, con pali o paletti. Verso il 1530 – aggiunse – .. cominciò ad indicare una meta, un traguardo, un punto di arrivo». Per rimanere nel nostro binomio Bibbia e calcio, non è forse alla tanto agognata “terra promessa” che il gol ci rimanda? Ogni “rete” non nasconde simbolicamente quello “spazio” cui il nostro cuore infondo anela? Altra paternità è quella rivendicata dai francesi, che fanno risalire il calcio alla soule o choule, gioco che si disputava saltuariamente, spesso una sola volta l’anno, quando ancora la Francia si chiamava Gallia: «una specie di battaglia attorno a una palla, combattuta da intere popolazioni contro altre popolazioni. Tutto consisteva, infatti, nel far passare la palla sul territorio del villaggio avversario. – aggiunge Melegari – Non c’erano regole e.. ogni violenza era permessa». La soule, tuttavia, sarebbe stata portata in Gallia dai soldati di Giulio Cesare, come ebbe a scrivere Jules Rimet, presidente della FIFA (la federazione di calcio internazionale) dal 1921 al 1954, cui fu dedicata la Coppa del Mondo fino al 1970. Ad avere qualcosa da ridire sono quindi gli italiani, tanto da far scrivere all’enciclopedia Treccani, apparsa nel 1930: «Il gioco del calcio, caduto progressivamente in desuetudine dopo gli splendori del Rinascimento, è di tradizione italiana, e più in particolare fiorentina», poiché è a Firenze che il calcio fu regolamentato. Ma questo sport, come noi lo conosciamo, nasce tuttavia nel 1863 a Londra, con la Football Association of England, la quale optò per la più rivoluzionaria delle regole adottate fino a quel momento: proibire che i giocatori prendessero la palla con le mani! Ma la cosa non andò giù a chi praticava il Rugby, sport che prese il nome da una cittadina inglese in cui avvenne un episodio storico: «Durante una partita di football, un giocatore locale.. William Webb Ellis, afferrò la palla, se la mise sotto il braccio.. e andò a deporla in goal. (questa, prosegue l’autore) Era la risposta a quanti volevano che il football si giocasse soltanto con i piedi». Per gli americani il rugby football continuò ad essere il solo ed unico football, tant’è che il calcio lo chiamano soccer, deformazione volontaria della parola association, quella con cui gli inglesi identificano il calcio, appunto. Association «perché – è ancora Melegari a parlare – il calcio moderno ha preso avvio da un’associazione fondata a Londra in un’osteria, la Freemason’s Tavern», dove il 26 ottobre 1863 undici club fondarono la già citata “associazione” che, tra l’altro, bandiva definitivamente la violenza (?!) dai campi di gioco. Fu invece qualche anno prima, nel 1857, che la prima società ufficiale vide la luce: lo Sheffield. Il Football «entrò (quindi) nelle scuole sotto forma di dribbling game, ovvero “gioco della finta”», cosa che ci permette di rispondere ad una curiosità: perché si gioca in undici? A stabilirlo fu ancora il calcio inglese nel 1870 – prima infatti si giocava in numero variabile tra i 15 e i 27 (!?) – e le ipotesi del perché sono diverse, due s...
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2 years ago
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Il figlio del falegname (La Bibbia secondo Carlo Collodi)
2 years ago
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Il figlio del falegname (La Bibbia secondo Carlo Collodi)
Testo della catechesi«C’era una volta.. – un re! – diranno subito i miei piccoli lettori. No, ragazzi, avete sbagliato..». Con questo incipit inizia uno dei romanzi per ragazzi più celebri al mondo: Le avventure di Pinocchio, nome la cui origine non è chiarissima, la più probabile rimanda forse all’antico dialetto toscano, che con esso indica il pino domestico, albero dal quale il burattino sarebbe stato tratto. Ma anche in questo caso registriamo un’inesattezza, il burattino è infatti manovrato infilandovi la mano, mentre Pinocchio è in realtà una marionetta, ovvero un pupazzo manovrato coi fili. In questa celebre rilettura del cosiddetto romanzo di formazione, la cui caratteristica principale è la maturazione del protagonista, non è difficile scorgere in controluce la figura di un alter Christus che, stando a certi Vangeli apocrifi, racconta l’infanzia turbolenta di Gesù, facendone un presepe toscano animato, laico e profano solo all’apparenza. Ma su questo torneremo.  Se di rivisitazioni il racconto di Pinocchio ne ha conosciute tante, a partire dal cinema in quell’ormai lontano 1911, ci limitiamo a citarne tre, a partire dalla sua discutibile versione sovietica rielaborata dallo scrittore e politico Aleksej Nikolaevič Tolstoj, in cui Burattino – questo il nome russo della marionetta – viene realizzato dalle mani non di Geppetto ma di Papà Karl (richiamo evidente a Marx), il Gatto si chiama Basilio (rimando questa volta al santo cui è dedicata la cattedrale di Mosca, come a dire: “occhio ai preti!”), e alla fine non si trasforma in bambino. Questa lettura – afferma il fisico nucleare, filosofo e teologo ucraino Aleksandr Filonenko, è confacente alle esigenze dell’ex Unione Sovietica, essendo legata alla catastrofe antropologica dovuta dal crollo del comunismo, fenomeno sociale che ha generato la domanda di sempre: “chi è nostro padre?”.  La seconda rilettura che val la pena prendere in esame è cinematografica, del regista messicano Guillermo del Toro che, assieme a Mark Gustafson ha realizzato con la tecnica della stop-motion un piccolo gioiello d’animazione ambientato nel ventennio fascista, durante il quale al vedovo falegname Geppetto muore il figlio Carlo (omaggio a Collodi?), tornato in chiesa a prendere la pigna dimenticata (altra allusione al pino), chiesa sopra la quale cade una bomba, siamo infatti in tempo di guerra. Ubriaco e incapace di elaborare il lutto, l’anziano abbatte l’albero cresciuto grazie alla già citata pigna, seminata accanto alla tomba del figlio. Ancora sotto l’effetto dell’alcool, con quel legno realizza la celebre marionetta. La rivisitazione in questo caso è altrettanto robusta: la fata è sostituita da uno “spirito del bosco” dalle sembianze di un cherubino, cui fa da contraltare Morte, sua sorella e sovrana dell’oltretomba, somigliante invece ad una chimera. Mentre Lucignolo è figlio di un gerarca fascista, l’alterego di Mangiafuoco (ma anche dei due scaltri animali) è il Conte Volpe, che Pinocchio decide di seguire per fare un po’ di soldi da inviare al povero padre, dimostrandosi in tal modo un figlio migliore. Geppetto si mette quindi sulle sue tracce e, con l’aiuto del grillo parlante Sebastian, mentre la marionetta cerca di sabotare uno spettacolo in onore di Mussolini, s’imbarca con un uomo che ricalca perfettamente Achab, il personaggio immaginario di Moby Dick. Scappato dalle grinfie del Conte Volpe, Pinocchio si ritrova insieme a Lucignolo non nel “paese dei balocchi”, ma in una scuola di addestramento militare.. Insomma, la vicenda è anzitutto di paternità e figliolanza che tratta, non a caso si gioca su tre coppie di personaggi: Lucignolo e il padre, Pinocchio e Geppetto, il Conte Volpe e la sua scimmia Spazzatura, che, visto il nome affibbiatole, non può che maltrattare. Sarà proprio quest’ultima a riservare le migliori sorprese. Chiude il novero dei personaggi il parroco del paese da cui parte l’intera storia, che commissiona a Geppetto un Crocifisso, anch’esso di legno (!!). D...
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2 years ago
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Coltivare cosa? (Bibbia e cultura)
2 years ago
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Coltivare cosa? (Bibbia e cultura)
Testo della catechesi«Se la Bibbia è considerata il libro dei cristiani.. – afferma Éric Denimal – è altrettanto vero che essa appartiene a tutto il genere umano. I cristiani non hanno alcun diritto di monopolizzarla né, tanto meno, di sottrarla all’umanità.. La Bibbia è certamente un libro spirituale.. ma è anche un’opera culturale.. narra (infatti) la saga di un popolo (ebraico, israelita o giudeo che dir si voglia) che si fa specchio di tutti i popoli!». Nell’utilissimo e divertente libro La Bibbia per tutti, la penultima parte del testo è intitolata Una società influenzata dalla Bibbia e inizia così: «Al di là delle polemiche, è evidente che la tradizione ebraico-cristiana ha permeato la cultura, la storia e il pensiero europei. Ne ritroviamo innumerevoli tracce.. in tutte le nostre espressioni artistiche.. modo di agire e di pensare, nella vita di tutti i giorni, nel nostro parlare e nel nostro quotidiano». Se fino ai primi del ’900 la lettura della Bibbia era affare d’élite, perché non tutti sapevano leggere e scrivere, oggi l’analfabetismo è invece specificamente biblico: chi lavora in ambito scolastico, ad esempio, lo sa bene. Se tutti sappiamo cos’è la Bibbia (anche se non la conosciamo), val la pena soffermarsi sul concetto di cultura, che il Vocabolario Treccani così definisce: «dal latino cultura, derivato di colĕre, “coltivare”.. L’insieme di cognizioni intellettuali che una persona ha acquisito attraverso lo studio e l’esperienza, rielaborandole peraltro con un personale e profondo ripensamento così da convertire le nozioni da semplice erudizione in elemento costitutivo della sua personalità morale, della sua spiritualità e del suo gusto estetico, e, in breve, nella consapevolezza di sé e del proprio mondo». La cultura di ognuno di noi, in pratica, è frutto di ciò che abbiamo coltivato nel tempo, «siamo quello che mangiamo» per dirla col filosofo tedesco Ludwig Feuerbach, ma in senso lato. Cioè, in questo momento storico, io sono tutto ciò che nella mia vita ho fatto mio: il cibo ingerito, i luoghi visitati, i libri letti, i film visti, la musica ascoltata, l’arte di cui ho fatto esperienza, ecc.. ma soprattutto sono il frutto delle relazioni che sono riuscito ad intessere. E di tale “coltivazione” ogni giorno mi presenta il raccolto. Il filosofo dell’educazione Aluisi Tosolini, esperto in didattica – avendo speso buona parte della sua vita nel mondo della scuola, prima come docente poi come dirigente – nel testo Bibbia, cultura e scuola, redatto a due mani col teologo Brunetto Salvarani, afferma: «..si fa ancora molta fatica a rendersi conto che la Bibbia.. è prodotto culturale in duplice senso: in quanto è nata in una cultura specifica (semitica ed ellenistico-romana) e in quanto genera cultura». Il Libro bianco Teaching and Learning della Commissione europea invece, affermava negli ormai lontani anni ’90 del secolo scorso:  «Lo scotto che una società paga quando dimentica il passato è la perdita di qualsiasi eredità comune di sostegni e punti di riferimento. Non sorprende che, non conoscendo la storia della civiltà europea, espressioni come “traversata del deserto”, “portare la propria croce”, “eureka!”, “il giudizio di Salomone” o “la torre di Babele” abbiano perso il loro significato». Interessante – e non casuale! – il fatto che quattro dei cinque esempi citati attingano proprio dal repertorio biblico. «La condizione dell’attuale cultura europea è di autodemolizione (un tentato suicidio che i più giudicano un atteggiamento “moderno”), poiché pretende di emanciparsi dalle radici sulle quali si fonda, quelle cristiane, fondate sulla Bibbia». Con queste parole iniziava anni orsono un corso teologico intitolato proprio Bibbia e cultura.. ma le cose stanno davvero così? In che modo l’accantonamento delle sue radici bibliche, da parte della cultura dominante, costituisce un “suicidio”? E in che senso? Il compianto Umberto Eco dal canto suo, da semiologo, filosofo, massmediologo ed esperto medievista – lui che ...
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2 years ago
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A very good novel (La Bibbia secondo i fumetti)
3 years ago
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A very good novel (La Bibbia secondo i fumetti)
Testo della catechesi Nonostante ci sia una sottile differenza, oggi i termini fumetto e graphic novel sono quasi sinonimi. Se quest’ultimo è tecnicamente un “romanzo a fumetti”, il primo, più semplice – ma non per questo rivolto ad un pubblico solo infantile, anzi! – , ne è l’origine, a partire dall’irriverente monello Yellow Kid, creato dalla matita dello statunitense Richard Felton Outcault il 5 maggio 1895, inizialmente pubblicato come supplemento domenicale del quotidiano New York World. Ma il fumetto, termine che indica la “nuvoletta” in cui compare lo scritto, oggi più che mai è capace di veicolare anche il messaggio biblico. Le testimonianze a riguardo sono diverse, ad esempio La Bibbia edita dalla Panini Comics, che attraverso un tratto davvero bello, ma austero ed evocativo (la distruzione di Sodoma e Gomorra è spettacolare!), ha dato vita ai due volumi L’Antico Testamento e Il Nuovo Testamento (che rispetto al primo utilizza colori molto più vivaci, a tratti quasi liturgici) grazie ad autori come il disegnatore croato Damir Zitko, il franco-brasiliano Jean-Christophe Camus e il belga Michel Dufranne, che, laureatosi in psicologia per poi dedicarsi al mondo dei giochi di ruolo e a pubblicazioni di fantascienza, ama nascondersi sotto lo pseudonimo Miroslav Dragan. A loro si aggiungono Dušan Božić e l’altro croato Dalibor Talajić, passato dall’insegnare clarinetto a Zagabria a diventare una matita della Marvel, disegnando tra gli altri Deadpool, X-Force, Wolverine, Dracula, Punisher e Shang-Chi. Se la copertina del primo volume è rappresentata dalla scena in cui Mosè divide le acque del Mar Rosso – un vero capolavoro! – , in quella del secondo ecco un Gesù “alla Zeffirelli”, che, con un riflesso del sole a fargli da aureola, è immerso nelle acque – questa volta del Giordano – e guarda verso l’alto, luogo in cui è situato sia il Padre sia il potenziale lettore. Ma è la conclusione dell’intera opera a far riflettere: la quarta di copertina (il retro, tanto per intenderci) ritrae il sole che si fa largo tra le nubi, in cui capeggia la scritta «Si conclude la nuova, spettacolare versione a fumetti della Bibbia per i lettori del XXI secolo.. Un adattamento fedele e, allo stesso tempo, straordinariamente moderno». Confermiamo, è proprio così. Ancora più interessante è forse La Bibbia a fumetti. La storia della redenzione, la cui versione originale inglese è The action Bible, del 2010. L’opera, che utilizza un disegno più “animato” – cioè non troppo verosimile (il fisico di Gesù crocifisso non è da meno di quello di Sansone, né ha qualcosa da invidiare a un moderno body-builder) – , è curata dal pastore protestante Doug Mauss, mentre le illustrazioni sono di Sergio Cariello, fumettista residente in Florida, anch’egli passato tra le fila della Marvel. Tradotta in 29 lingue e distribuita in 32 paesi, è un estratto della Sacra Scrittura disponibile in più di 50 lingue, grazie anche allo Youth For Christ (YFC), un movimento cristiano giovanile che, nato nel 1940 a New York, opera su scala mondiale e si propone di evangelizzare in primis gli adolescenti. Di questi tempi, in cui l’ateismo giovanile prolifera, beh, davvero lodevole! Il curatore Doug Mauss introduce la sua opera rivolgendosi direttamente al lettore: «Anche se è difficile che si pensi a lui in questi termini, è Dio il primo grande eroe della storia. Si rimane tutti senza fiato quando Superman fa volare via un’auto con un soffio; con il suo soffio, però, Dio ha creato l’intero universo. Superman potrebbe salvarci da un guaio con la sua forza, ma Gesù ha salvato il mondo intero con la sua morte. Poi ci sono gli esseri umani che Dio ha scelto per compiere il suo piano divino: sebbene imperfetti, anche loro furono dei supereroi meravigliosi – marvel, aggiungiamo noi, non significa forse “meraviglia”?! E prosegue – Leggi il racconto di Sansone che si avventa su un esercito di filistei, uccidendoli tutti senza avere a disposizione nient’altro che una mascella d’asino. Sc...
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3 years ago
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Non è possibile capire “dove andiamo” senza sapere “da dove veniamo”: occorre allora tornare al grande codice della cultura occidentale. Non solo, è utile osservare come questo, nel tempo, abbia prodotto degli “effetti” sulla cultura in generale. Il capitolo 24 di Luca può aiutarci ad attualizzare la questione: come i due diretti a Emmaus «conversavano tra loro di tutto quello che era accaduto», altrettanto potremmo fare oggi, conversando tra noi di tutto quello che è accaduto negli ultimi duemila anni. In generale, che tracce ha lasciato sul pianeta Terra l’evento Gesù Cristo? Nello specifico, quali effetti ha prodotto sulla cultura e nei diversi ambiti: la storia, la letteratura, la geografia, la scuola, la scienza, la filosofia, l’arte, la politica, la superstizione, l’etica e, avvicinandoci al nostro tempo, lo sport, i mass media, e via dicendo? Più precisamente: il mondo coi suoi mille risvolti, si è lasciato scalfire dalle pagine bibliche? Quanto, queste, hanno inciso nello svolgimento della “storia”? Ma soprattutto: quali “effetti” ha avuto su di essa?