La colonizzazione non ha mai smesso di parlare la lingua di una presunta efficenza. Ha solo cambiato lessico: prima le armi, poi il credito, oggi i dati. Non è più il soldato che entra nel villaggio, è l’algoritmo che assegna un punteggio.
L’Africa torna sotto giudizio, non in tribunale, ma nei circoli del capitale globale. Ancora una volta, chi decide il valore di un continente sono soggetti esterni, agenzie di rating con sede a New York o Londra, che leggono le economie africane con modelli costruiti altrove, su premesse altrui, con dati parziali. Fitch, Moody’s, S&P: i tre nomi del vecchio oracolo finanziario che assegna stelle e condanne.
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Scomparirà il web come lo conosciamo. Non per crollo, ma per assorbimento. Le pagine, i layout, i click, le ricerche, le scrollbar: residui di un’epoca in cui l’essere umano doveva ancora orientarsi da solo. L’interfaccia grafica era lo spazio in cui si esercitava la libertà dell’utente, la sua agency. Ora quell’interfaccia evapora, sostituita da sistemi che decidono, suggeriscono, eseguono.
Il web non sarà più una rete da esplorare, ma una serie di risposte che arrivano senza che si debba chiedere davvero. I siti diventano funzioni. I servizi diventano agenti. I contenuti diventano output.
Non si entra più in Booking, si dice trovami un posto tranquillo per dormire vicino a un lago, max 100 euro. Non si consulta più Google Maps, si chiede portami a casa evitando il traffico e i lavori in corso. Non si sfoglia più Amazon: si pronuncia un bisogno, e qualcosa arriva.
Non è semplicemente la fine della user interface. È una sua mutazione profonda. Non scompare del tutto, ma cambia forma, funzione, linguaggio. Diventa trasparente, adattiva, ubiqua e, proprio per questo, rischia di diventare anche invisibile e incontestabile.
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C’è chi interpreta la rottura tra Musk e Trump come l’ennesimo episodio di una politica americana sempre più spettacolarizzata, una lite tra archetipi della destra, quella libertaria, affamata di deregulation, e quella populista, attenta ai consensi delle classi medie impoverite, da cui trarre, forse con eccessiva fretta, la conclusione che la cosiddetta “tecno-destra” sia uscita sconfitta, mentre lo Stato, con i suoi strumenti normativi e il suo reticolo di mediazioni, avrebbe riconquistato un ruolo centrale.
Ma questo tipo di analisi, radicata in una geopolitica tradizionale e rassicurante, appare oggi del tutto inadeguata a leggere ciò che sta davvero accadendo. Non siamo di fronte a uno scontro tra figure individuali, per quanto mediaticamente sovraesposte, ma a un conflitto strutturale tra due forme del potere: da un lato, quello territoriale, giuridico e istituzionale degli Stati; dall’altro, quello infrastrutturale, metaterritoriale e algoritmico delle piattaforme digitali.
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Il problema, allora, non è se l’AI ci supererà. Il problema è cosa ci rimarrà, una volta che avremo delegato a lei tutte le decisioni in cui era necessario sostare nella complessità. La AI sta diventando la prima tecnologia “soggetto” della storia trasformando noi in “oggetto”. La tecnologia, ogni volta che prende il sopravvento, tende a semplificare. Taglia i rami storti. Elimina le deviazioni. Ma è proprio nelle deviazioni che nasce la coscienza critica.
Non sto dicendo che l’AI debba essere fermata. Dico che dobbiamo capire cosa le stiamo insegnando e, soprattutto, cosa ci stiamo dimenticando nel farlo. In ogni algoritmo c’è un’impostazione valoriale, anche se mascherata da neutralità tecnica. Ogni dataset è un condensato di decisioni politiche, culturali, sociali. Se continuiamo a pensare che questi strumenti siano solo neutri esecutori, finiremo per adattarci noi ai loro vincoli, non il contrario.
Il rischio non è che le macchine diventino come noi. Il rischio è che noi diventiamo come loro. Efficienti, prevedibili, misurabili. Privati dell’ambiguità che ci rende vivi.
Mentre l’umanità si trova sull’orlo di trasformazioni senza precedenti, alimentate dalla crescita esponenziale dell’intelligenza artificiale, un nuovo terreno di confronto si apre: quello spirituale. Il prossimo Conclave per l’elezione del nuovo Papa rappresenta non solo una svolta per la Chiesa Cattolica, ma anche un’occasione storica per le élite del longtermismo tecnologico. Dopo aver plasmato l’industria, la finanza e la politica, i fautori dell’accelerazione tecnologica vedono ora la necessità di legittimarsi anche sul piano morale e religioso. L’interrogativo è semplice e drammatico per chi non la pensa come loro: riusciranno a influenzare la scelta del nuovo Pontefice?
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Nelle pieghe dei suoi interventi più incisivi, da Laudato Si’ ai messaggi sulla pace e sulla comunicazione, Papa Francesco affronta in modo crescente e sistematico la questione dell’intelligenza artificiale. Il suo approccio non è quello di un tecnico, ma di un osservatore attento alle dinamiche profonde che regolano il nostro tempo. Nei testi analizzati, emergono due preoccupazioni distinte: l’una legata all’etica dell’IA, l’altra alla concentrazione del potere in chi la sviluppa e la controlla.
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Il longtermismo è la filosofia amica di Elon Musk, Peter Thiel e di molti altri grandi potenti dell'intelligenza artificiale. Ogni crisi reale, ogni ingiustizia attuale, ogni disuguaglianza sociale viene svalutata, se non rappresenta una minaccia per la continuità della specie. La fame non è un rischio esistenziale, il razzismo nemmeno, la guerra solo se è totale. Il resto può attendere. Anzi, può essere sacrificato. Perché il vero crimine, nella logica longtermista, è l’interruzione della linea temporale della specie, non la sofferenza dei corpi che la compongono oggi.
C’è un’altra possibilità, più fragile, meno appariscente. Costruire modelli che non dipendono dal tempo reale, ma da archivi condivisi. Usare dati pubblici, simulazioni, ambienti artificiali. Dataset vivi territoriali e intelligenze artificiali di comunità e di municipalità. Affidarsi alla collaborazione tra enti, cittadini, tecnologi e istituzioni. Richiede tempo, energia, fiducia. Ma apre la strada a modelli che non sono solo tecnicamente efficaci, ma anche comprensibili, controllabili, rinegoziabili. Non sono migliori per forza. Sono diversi. E in un ecosistema sempre più dominato da poche architetture chiuse, la differenza è già un atto politico.
In breve a cosa serve lo Stato e la democrazia nel mondo dei social e del digitale, per definizione metaterritoriali? Metaterritoriali significa che non hanno bisogno per esistere, svilupparsi e governare delle tre proprietà della distesa spaziale: continua, omogenea e isotropica.
L'ecosistema dell'intelligenza artificiale per ora è dannoso per l'ecosistema della terra, per l'uomo e per l'ambiente. Dalle Terre rare, all'acqua e all'energia.
Questa è la puntata numero 1 e parliamo del fondatore di DeepSeek, la nuova AI cinese.
Il pensiero di Liang Wenfeng e del suo DeepSeek.
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