Armando Ceroni si lancia nelle produzioni digitali e ripercorre le fasi salienti della propria carriera giornalistica in compagnia di Nicolò Casolini e di ospiti di spessore. Mezz’ora da passare con il sorriso e in leggerezza, rivivendo con i protagonisti le emozioni, le gioie e i dolori sportivi degli anni andati con aneddoti inediti, mai divulgati. Un’esclusiva che vi accompagnerà per otto puntate, pubblicate ogni lunedì.
Armando Ceroni si lancia nelle produzioni digitali e ripercorre le fasi salienti della propria carriera giornalistica in compagnia di Nicolò Casolini e di ospiti di spessore. Mezz’ora da passare con il sorriso e in leggerezza, rivivendo con i protagonisti le emozioni, le gioie e i dolori sportivi degli anni andati con aneddoti inediti, mai divulgati. Un’esclusiva che vi accompagnerà per otto puntate, pubblicate ogni lunedì.
Quando parla “Spartacus” non servono presentazioni. Oro olimpico, vincitore di classiche leggendarie e icona del ciclismo mondiale, Fabian Cancellara si racconta senza filtri a Armando Ceroni e Nicolò Casolini. Tra risate, ricordi e momenti molto personali, ripercorre una carriera fatta di trionfi, cadute e rinascite. Dal sogno realizzato a Rio 2016 alle medaglie mancate, fino al soprannome diventato leggenda. Un viaggio nella testa e nel cuore di un campione che ha ispirato un’intera generazione di ciclisti.
Il videopodcast di Armando Ceroni e Nicolò Casolini riparte con un’ospite d’eccezione: Lara Gut-Behrami. In un dialogo intimo e senza filtri, la campionessa si racconta, regalando aneddoti inediti, emozioni e riflessioni profonde.
Gli anni lo hanno reso leggermente meno vulcanico rispetto al passato, quando nello spogliatoio irrompeva una volta sì e l’altra pure. Ma rimane Constantin, il presidente più focoso del calcio svizzero. Anche quello con un ventaglio di conoscenze più vasto. Soprattutto legato al calcio italiano. Dagli anni sessanta ad oggi. Snocciola nomi. Racconta storie, episodi e aneddoti che diventano il sugo di discussioni infinite. Ti parla di Gianni Rivera. Passa attraverso la generazione Del Piero-Gattuso e arriva a Mario Balotelli. Ti coinvolge. Ti trascina e non si nasconde quando lo stuzzichi sui momenti più deraglianti della sua carriera di presidentissimo del Sion. Padre e padrone da una vita che continua a pulsare al ritmo della sua passione pallonara.
Che Michela Figini fosse un fenomeno sin da ragazzina, lo sapevano tutti i suoi coetanei, Mauro Pini compreso. Che pure aveva talento, ma che al cospetto dell’inarrivabile Michi si doveva inchinare. Lui e tutti gli altri ragazzi che lungo le piste innevate di Airolo rimanevano a bocca aperta a osservare colei che sarebbe poi diventata campionessa olimpica. Le pagine da scorrere sono tante, da quelle più luminose, a quelle che ancora oggi nessuno ha mai veramente digerito. L’atleta da una parte. L’allenatore dall’altra. Accomunati dalla stessa passione che ribolle dentro e brilla sempre nei loro occhi.
Per tutti è Fischi. Anche se in carriera ha sempre ricevuto più applausi che fischi. Per la sua verve sul ghiaccio e fuori. Per quel suo modo di fare e di porgersi. È anche divertente Patrick Fischer e questa sua naturale simpatia emerge in questa nuova puntata de Larmandillo. Onestamente non avevo dubbi che il nostro incontro sarebbe scivolato via leggero tra aneddoti, storie e tutto quanto scorre nell’animo del tecnico della Nazionale svizzera che pattina sul ghiaccio rincorrendo un disco. Un calderone ribollente dove c’è dentro di tutto. Dalle sue esperienze di giocatore a quelle di allenatore. Dai momenti di euforia contagiosa per i suoi successi a quelli dove guardandosi indietro ammette gli sbagli e ricorda con il sorriso le sbandate. Gli eccessi che oggi nessuno si permette più. Era giovane Fischi. Ne ha combinate di ogni, ma quell’hockey di una trentina di anni fa non c’è più. Tutto o quasi è cambiato, ma non lo spirito vincente di colui che sogna di vincere quel Mondiale che fin qui, da allenatore, gli è scivolato via due volte. Due finali esaltanti e due sconfitte brucianti, quando il trionfo era lì a portata di bastone.
Avrebbero voluto esserci a braccetto la scorsa estate alle Olimpiadi. Elia Colombo aggrappato alla sua tavola da vela e Filippo in sella alla sua bicicletta. Ma così non era andata per scelte che ancora adesso non si capiscono da parte dei dirigenti rossocrociati. Filippo ancora non ha digerito quella assurda non convocazione, ma guarda avanti perché il calendario della Mountain Bike srotola appuntamenti di spessore a getto continuo. Diverso il discorso per chi ha fatto dell’acqua il suo elemento più naturale. Da qui a Los Angeles, prossimo appuntamento a cinque cerchi, mancano tre anni. Di cose da fare, più che di gare da conquistare, ce ne sono comunque a mandrie. Così come di storie da raccontare. Quelle di Elia e quelle di Filippo in assoluta leggerezza, fatta anche di prese in giro tra i due fratelli delle meraviglie.
Per tutti è Carletto, tant’è che basta pronunciarne il nomignolo e tutti pensano ad Ancelotti. L’allenatore più vincente della storia del calcio. Siamo andati a trovarlo a Madrid. Ci ha accolto con la sua proverbiale generosa umiltà. L’ho conosciuto anni fa ed è sempre lo stesso. Disponibile. Aperto. Accogliente. Il successo. La fama. La gloria, non lo hanno minimamente intaccato, sempre saldamente ancorato alla sua educazione e alle sue radici. Abbiamo chiacchierato a lungo, ricordando anche il suo passato di giocatore. Anche a causa di diversi infortuni, ha avuto una carriera meno luminosa rispetto a quella splendente di allenatore. Parlare con lui è semplicemente bello. Altrettanto ascoltarlo, ripercorrendo i momenti più intensi di una carriera ineguagliabile.
Correva l’anno 1986. Correvano i brasiliani Paolo Cesar e Mario Sergio. Correvano i tifosi del Bellinzona allo stadio in quello che fu un bagno di folla che solo a ricordarlo ti vengono i brividi. Cose mai viste e mai più viste. Un orgia di frizzi e di lazzi durata pochi mesi, ma con dentro un’energia tale che se chiudi gli occhi ti pare di essere ancora lì. E lì, con gli occhi lucidi, è come se ci fossero ancora Athos Tognini e Livio Bordoli che allora avevano una ventina di anni. Sono passati quasi quattro decenni eppure quel turbine di emozioni è ancora vivo e pulsante come quest’altra puntata de Larmandillo.
Loro sono convinti che la classe 1991 sia quella permeata di maggior talento. Sarà, di sicuro gli è che Mattia Bottani e Inti Pestoni sono i due terribili, orami ex ragazzini, che più fanno sognare i tifosi del Lugano che tira calci ad un pallone e quelli dell’ Ambrì Piotta che ricorre dischi sul ghiaccio. Nati per fare quello che fanno da una quindicina di anni a questa parte. Nati per fare meraviglie ,senza però mai veramente salire ad altezze siderali. Quelli dove stanno le leggende mondiali del mondo dello sport. E allora tra ricordi e prese per i fondelli reciproche, eccoli mettersi a nudo davanti alle provocazioni strategicamente orientate di Armando Ceroni, al secolo Larmandillo e Nicolò Casolini, al secolo non si sa.
Don Fabio lo è diventato in Spagna quando sedeva sulla panchina del Real Madrid. Ma prima di essere diventato uno dei Mister più vincenti e popolari della storia del calcio, Capello è stato un centrocampista di qualità e quantità. Aveva tutto e quel tutto lo ha sempre chiesto anche ai suoi giocatori. Ne ha raccontate a mandrie per la gioia di chi lo ha incontrato, la premiata ditta Ceroni-Casolini, ma soprattutto di chi se lo ritroverà davanti nella prima puntata primaverile de Larmandillo.
5 aprile 1999. Lunedì di Pasquetta. Giorno in cui tutto il Ticino si ritrova avvolto in atmosfere hockeistiche, che vanno oltre e sfociano in altro. Cosa? Lo scopriremo con due protagonisti di quella storica finale tra Ambrì-Piotta e Lugano. Per la serie “cose mai viste”. Nemmeno mai sentite, perché quello che uscirà dalla bocca di Mattia Baldi e Sandro Bertaggia vi lascerà a bocca aperta. Tradotto. Divertimento assicurato.
Ritorna Valon Behrami, come nelle migliori serie cinematografiche. Consumati i fattacci di Istanbul, agli albori della carriera di Valon in Nazionale, questa volta ripercorriamo, da quel 2005 al 2018, il suo cammino a tinte rossocrociate. Tra gioie e dolori. Anche quelle delle sue ginocchia che spesso hanno fatto crack, senza però mai spezzare la sua voglia di andare oltre. Se devo pensare a un giocatore simbolo del calcio svizzero dell’ultimo decennio, è a lui che penso. Uomo spogliatoio. Uomo vero. Uomo capace di tirare le fila di un gruppo spesso in ebollizione. Valon in campo era una furia. Nello spogliatoio un riequilibratore instancabile. Ci sarà anche da divertirsi, con quello squinternato di Nicolò Casolini con il quale, almeno questa volta, condivido in toto il giudizio su Valon Behrami 2 l’indispensabile.
Siamo a sei, intese come le puntate de LARMANDILLO. Molti di più i Tour de France commentati in compagnia di Antonio Ferretti. Ne abbiamo passate, vissute, respirate di ogni. Avremmo potuto parlarne per giorni, in un frullatore di ricordi che non ne voleva sapere di arrestarsi. Abbiamo condensato il meglio di quello che è mulinato nelle nostre pieghe del cervello, in una mezzora abbondante fatta di episodi che hanno lasciato a bocca aperta anche Nicolò Casolini. Noi a chiacchierare come i due vecchietti del Muppet show. Lui a godersela, come credo voi che ci ascolterete, dall’inizio alla fine.
Il Lugano che batte l’Inter. Possibile? Normalmente solo nel mondo dei sogni, ma non quella volta quando il sogno si trasformò in realtà. Era il settembre del 1995. Trentaduesimi di finale dell’allora Coppa UEFA che i nerazzurri in quegli anni ‘90 vinsero tre volte tre. Mentre due gol due, uno all’andata a Cornaredo, l’altro a San Siro, li firmò Edo Carrasco. L’eroe di quella doppia sfida dai sapori forti.
Incontrarlo per riannodare il filo della memoria, tra aneddoti e curiosità finora mai raccontate, è parsa perciò la scelta più naturale.
Nel quinto episodio de LARMANDILLO ci si avvolgerà in quelle atmosfere inebrianti. Anche, suo malgrado, per Nicolò Casolini, da sempre interista nel cuore, ma travolto pure lui dal fascino di quel momento storico, indimenticabile.
È il 2005, mese di novembre, giorni di spareggio per staccare gli ultimi biglietti che portano ai mondiali dell’anno successivo. In cartellone c’è Turchia-Svizzera. Si gioca a Istanbul in un clima da guerriglia annunciato. Certo, perché già alla vigilia, si respirava aria grama. Quella che sarebbe poi sfociata nel tumulto. Uno degli episodi più cupi e drammatici della storia del calcio, affiorato in un contesto per certi versi surreale. Da una parte la gioia rossocrociata per la conquista del Mondiale. Dall’altra la paura, ma anche lo sbigottimento per quello che poteva essere evitato e che nello stesso tempo è rimasto impunito. Ripercorreremo quelle ore, che mai potranno essere dimenticate, con Valon Behrami che c’era in quel tunnel maledetto, assieme a chi vi scrive. Tra calci, pugni e botte da orbi. Noi lì, il giovane Nicolò Casolini allora a casa spoltronato davanti alla TV. Questa volta con noi, trasportato dalla sua curiosità.
Non si erano mai visti tutti e tre insieme: il Giana, il Cere e il Crus. Tre allenatori ticinesi, come mai nella storia, sulle panchine delle tre squadre di maggior spessore del nostro Cantone. Uno sballo d’incanto, di quelli che ti smuovono le trippe e che ti riempiono di orgoglio. Indipendentemente dalla fede.
Ci siamo ritrovati come quattro amici al bar. Il mondo non lo abbiamo cambiato, ma abbiamo comunque cercato di sviscerarlo attraverso tematiche diverse rispetto ai canoni classici. Attualità, schemi e dinamiche tecnico tattiche quasi zero. Tanti altri invece gli argomenti affrontati. Tra scaramanzia, puzza e gestione dello spogliatoio e tutto quanto ruota attorno alla figura del mister, come lo si definisce nel mondo del calcio, o del coach, come dicono quelli dell’hockey. Tanto è la stessa cosa. Sei sempre da solo a prendere le decisioni e a inghiottire le critiche negative quando le cose non vanno bene.
L’inizio è uno spasso che tocca aspetti di naturale fisiologia. Il resto sono le emozioni, i ricordi, le goliarderie mai espresse pubblicamente che trasudano, oggi come allora, da quelle giornate indimenticabili legate ai Mondiali di ciclismo di Lugano del 1996.
Ripercorrere i momenti più importanti della carriera di Kubi, è uno spasso, tra aneddoti, curiosità e considerazioni inedite. Fin qui dette al bar o a tavola davanti ad un buon bicchiere di vino. Qui in tutta libertà comprese le motivazioni, inedite, che lo avevano portato ad essere escluso dai Mondiali del 1994.Io naturalmente ci metto del mio, così come quello sciagurato di Nicoló Casolini. Ma in primo piano ci sono comunque loro, le storie che racconteremo con il sorriso a ruota libera.