L'approfondimento della politica e dell'attualità vista dal Grigioni italiano.
L'approfondimento della politica e dell'attualità vista dal Grigioni italiano.
Quarantacinque anni da sindaco: un traguardo che pochi possono vantare. Attilio Savioni, eletto per la prima volta nel 1980 a soli 35 anni, è da allora la guida instancabile del Comune di Castaneda, in Calanca. Oggi, a ottant’anni, continua a servire la sua comunità con la stessa passione e dedizione di sempre, incarnando un raro esempio di continuità e senso civico.
Nella ricca conversazione con Alessandro Tini, Savioni ripercorre mezzo secolo di storia locale, tra sfide, cambiamenti e ricordi indelebili: dalle alluvioni che colpirono il paese negli anni ’70 e ’80, agli investimenti che hanno trasformato strade, scuole e infrastrutture. Parla con orgoglio del lavoro svolto insieme al segretario comunale, definito “il perno del Comune”, e non nasconde le difficoltà di un incarico sempre più complesso, aggravato da burocrazia, regolamenti e aspettative crescenti dei cittadini.
Sindaco, imprenditore edile e uomo di grande concretezza, Savioni rivela anche il lato umano di un impegno lungo una vita: il sacrificio della famiglia, la pazienza della moglie, la gratitudine verso chi lo ha accompagnato nel cammino. Guarda al futuro con realismo, sostenendo l’idea di una possibile fusione comunale, ma senza rinunciare al legame profondo con la sua terra.
Un ritratto sincero e toccante di un amministratore che ha fatto della fedeltà al proprio paese la sua missione più autentica.
C’è un filo che non si spezza, anche quando il telaio si ferma. È quello che lega la Tessitura Valposchiavo alla sua comunità. Fondata nel 1955, la cooperativa tessile è stata per decenni un punto di riferimento per il lavoro artigianale femminile nelle nella valle. Dopo quasi settant’anni di attività, ha dovuto interrompere la produzione, piegata dai costi e dai mutamenti del mercato. Ma la storia non si è chiusa: dalle sue trame è nata l’associazione Pro Tessitura in Val Poschiavo, un’alleanza di musei, contadini, artigiani e istituzioni che vuole restituire alla valle un patrimonio di saperi e di identità.
Il nuovo progetto, coordinato dai Musei Valposchiavo, punta a digitalizzare l’archivio storico dei tessuti, a valorizzare la filiera locale della lana e del lino e a creare percorsi didattici “dalla pecora al tessuto” e “dal campo al lino”, dove la materia prima diventa racconto di sostenibilità. Accanto alle testimonianze delle prime apprendiste, risuonano le voci delle nuove tessitrici e dei giovani designer che reinterpretano i motivi tradizionali in chiave contemporanea, unendo memoria e innovazione.
In vista del Forum Tessile “Fili di Futuro”, che celebra i 70 anni della tessitura a mano in Valposchiavo, questa puntata racconta come una valle intera continui a credere nella forza creativa delle proprie radici. Perché ogni filo intrecciato non è solo un gesto antico, ma un atto di fiducia nel domani.
Nel contesto di Expo Valposchiavo, dedicata quest’anno all’intelligenza artificiale (IA), il ricercatore e storico Severin Duc offre una riflessione che unisce tecnologia e identità alpina. Lungi dall’essere un tema “campato in aria”, l’IA rappresenta secondo lui una nuova tappa nel lungo percorso di adattamento delle comunità di montagna. Le Alpi – osserva Duc – non sono mai state statiche: hanno sempre saputo reinventarsi, accogliendo le innovazioni senza rinnegare il proprio patrimonio culturale e umano.
L’intelligenza artificiale, se ben orientata, può diventare uno strumento di valorizzazione della qualità artigianale, della tracciabilità dei prodotti e della resilienza economica e climatica. Può aiutare gli artigiani e i commercianti a gestire meglio il tempo e le risorse, ma deve restare uno strumento “al servizio dell’umano”. Il vero rischio, ammonisce Duc, è la perdita di sfumature, di quella ricchezza di relazioni e sensibilità che caratterizza la vita alpina.
Per questo, l’adozione dell’IA deve essere accompagnata da umiltà e spirito comunitario: “L’innovazione non può calare dall’alto – ricorda – ma nascere dal dialogo tra tutti gli attori della valle”. Solo così la tecnologia potrà diventare alleata di una modernità alpina radicata nella memoria, capace di rafforzare la coesione sociale e la cura del territorio.
Tra le montagne della Valtellina, a Tirano, c’è un giovane artigiano che sogna di cambiare il mondo, una bicicletta alla volta. Si chiama Daniele Rinaldi, ha 34 anni, e dal suo piccolo laboratorio costruisce biciclette e mezzi di mobilità in stampa 3D, con un’idea semplice ma rivoluzionaria: permettere a chiunque, ovunque, di produrre ciò che serve per muoversi liberamente.
Per lui la tecnologia non è fine a sé stessa, ma uno strumento per democratizzare la libertà di movimento, rendendola accessibile a tutti — anche a chi ha difficoltà motorie o vive in luoghi lontani. Il suo progetto si chiama Freellion, unione di “freedom” e “billion”: un miliardo di persone da liberare.
Un movimento aperto, inclusivo, che guarda al futuro della mobilità sostenibile e condivisa: bici e carrozzine stampate in 3D, materiali biodegradabili, telai in bambù, ma anche collaborazione con scuole, esploratori, comunità e maker di ogni parte del mondo. Rinaldi non cerca finanziatori, ma persone che vogliano mettersi al servizio degli altri e condividere questa visione.
Un sogno grande, che parte da un piccolo garage e si diffonde come un’onda: quella della mobilità libera e solidale.
Andrea Lanfri, atleta e alpinista toscano, ha trasformato una tragedia in una nuova vita. Nel 2015 una meningite fulminante lo ha costretto all’amputazione di entrambe le gambe e di sette dita delle mani. I medici gli dissero che non avrebbe più corso, né arrampicato. Ma Lanfri non si è arreso: con ostinazione ha deciso di ricominciare da zero. È tornato a correre, ad arrampicare, a inseguire i suoi sogni in montagna. Il palmarès parla da solo: nove titoli italiani, un argento mondiale, quattro medaglie europee. E poi un Guinness World Record per il miglio più veloce in quota.
Nel 2022 è stato il primo pluriamputato al mondo a salire sull’Everest. Un’impresa compiuta con la guida alpina Luca Montanari. Le sue protesi in fibra di carbonio, i “super piedi”, gli hanno permesso di spingersi oltre i limiti. Ma non è solo sport: dietro a ogni passo c’è un lavoro di ricerca e innovazione. Insieme al Politecnico di Milano, Lanfri ha trasformato le sue gare in un laboratorio a cielo aperto. Sensori applicati al corpo e alle protesi raccolgono milioni di dati durante le competizioni. Dati che serviranno a progettare protesi sempre più performanti e adattabili.
Il professor Marco Tarabini spiega che la sfida è passare da strumenti passivi a dispositivi attivi. Protesi in grado di reagire ai terreni, alle condizioni, ai movimenti quotidiani. Così la scienza e lo sport si incontrano, aprendo strade nuove anche per la vita di tutti i giorni. E la storia di Andrea Lanfri diventa esempio di coraggio, ricerca e speranza.
In questa puntata di Voci del Grigioni italiano camminiamo lungo sentieri che raccontano il territorio, la sua storia e le sue trasformazioni. Dalla Valposchiavo alla Mesolcina, passando per la Valmalenco e la Bregaglia, scopriamo come le vie antiche tornino a vivere grazie a progetti di valorizzazione e alla passione di chi le percorre.
In Valposchiavo, il “Giro dei Secoli” è un itinerario che intreccia epoche e memorie locali, frutto di un lungo lavoro comunitario. In Valmalenco, il geografo e alpinista Giancarlo Corbellini ci guida lungo l’Alta Via, simbolo di un camminare che unisce paesaggio e cultura. In Bregaglia, la “VIA” da Maloja a Chiavenna diventa occasione per scoprire la valle passo dopo passo.
Infine, in Mesolcina, seguiamo il sindaco Gianpiero Raveglia lungo la Strada di Maria Teresa, antica mulattiera oggi al centro di un importante progetto di recupero. Un percorso che unisce Roveredo al Passo San Jorio, tra storia militare e paesaggi alpini.
In questa edizione delle Voci del Grigioni italiano, Alessandro Tini dialoga con Lorenzo Berlendis, autore del volume Le vie dei ponti. Percorsi tra memoria e gusto, storia e arte, dalle Orobie bergamasche ai Grigioni attraverso la Valtellina e la Val Bregaglia (Edizioni Altreconomia). Un libro che non è una guida tradizionale, ma un intreccio di racconti, incontri e suggestioni che uniscono paesaggi, comunità e culture.
Originario della Val Brembana, l’autore ripercorre la storica via Priula – aperta dalla Serenissima nel Cinquecento per collegare Bergamo a Coira – e ne riscopre il valore simbolico: i ponti come metafora di scambio, superamento dei confini e occasione di cooperazione. Dal Brembo al Pizzo dei Tre Signori, dalle valli minerarie alle rotte commerciali verso il Nord Europa, la narrazione intreccia storia, religiosità, letteratura e tradizioni gastronomiche, con un’attenzione particolare alla transumanza e all’arte casearia.
Un invito a rileggere la montagna non con parametri quantitativi, ma come scrigno di biodiversità, sobrietà e bellezza, capace di insegnare nuovi modi di abitare i territori. Un percorso di memoria e futuro, che mostra come i ponti – reali e simbolici – possano ancora oggi aprire vie di incontro tra popoli e culture.
Il 23 agosto 2017 una frana di proporzioni enormi si staccò dal Pizzo Cengalo, travolgendo la Val Bondasca e raggiungendo Bondo. Oltre 3 milioni di metri cubi di materiale causarono la morte di otto escursionisti e segnarono profondamente la valle e i suoi abitanti. Immagini e suoni fecero il giro del mondo, ma altrettanto forte fu l’ondata di solidarietà che arrivò da ogni parte.
A distanza di otto anni, Antonia Marsetti e Alessandro Tini sono tornati a Bondo per raccontare la conclusione dei lavori di protezione e ripristino, riuniti nel progetto “Bondo Due”. Ospiti della trasmissione: Anna Giacometti, consigliera nazionale ed ex sindaca, che visse in prima persona i giorni dell’emergenza, e Fernando Giovanoli, attuale sindaco, che ha seguito la lunga fase di ricostruzione.
Dal ricordo doloroso delle vittime al sostegno della popolazione, dall’impegno della protezione civile alla resilienza della comunità, il racconto diventa testimonianza di una valle che guarda al futuro con più sicurezza, pur consapevole che il rischio zero non esiste. Bondo oggi è più protetta, ma soprattutto è il simbolo di una comunità che, pur ferita, ha saputo rialzarsi.
A pochi passi dal confine con la Valtellina, nella parte meridionale del borgo di Brusio, sorge Casa Besta: una dimora storica che racconta l’anima di un territorio di frontiera. Un tempo semplice abitazione contadina, la casa fu trasformata nel Settecento in elegante residenza dalla famiglia Marliani, originaria di Sondrio. Oggi, questo edificio accoglie un museo completamente rinnovato, che restituisce voce e memoria alla vita quotidiana della Valposchiavo.
Il nuovo allestimento di Casa Besta nasce da un percorso partecipativo che ha coinvolto la comunità locale, con il contributo di storici, artigiani ed esperti, e grazie al sostegno di fondazioni e del programma Interreg SconfiNati. Il museo si concentra su quattro temi che da sempre plasmano la storia e l’identità del territorio: il commercio transfrontaliero, l’agricoltura di montagna, l’artigianato tradizionale e, soprattutto, il contrabbando.
Attraverso pannelli informativi, fotografie, oggetti d’epoca e contributi multimediali, il visitatore è accompagnato in un viaggio tra le storie di chi ha vissuto, lavorato – e spesso sfidato – il confine.
In attesa dell’inaugurazione del nuovo Museo del Tabacco, che sorgerà a pochi passi da Casa Besta, la sezione dedicata a questo importante capitolo della storia di Brusio è stata momentaneamente smantellata. Un segno della volontà di valorizzare al meglio ogni aspetto della memoria locale.
Completano il percorso museale due ambienti storici di grande fascino: la Sala del Consiglio, con il suo soffitto ligneo finemente decorato, e una saletta adiacente ornata da stucchi e dagli stemmi delle famiglie del posto.
Casa Besta non è solo un museo, ma un punto d’incontro tra passato e presente, tra Svizzera e Italia, tra memoria e identità. Un luogo da scoprire, ascoltare, attraversare.
Il Premio Wakker 2025, prestigioso riconoscimento assegnato ogni anno da Patrimonio svizzero a un Comune che si distingue per la valorizzazione del proprio patrimonio architettonico e culturale, è andato a Poschiavo. Sabato scorso la cerimonia ufficiale ha animato la piazza del borgo, trasformata in un grande spazio di festa, con autorità, cittadini e associazioni a fare da cornice. Un evento che ha reso visibile il lungo lavoro di tutela e pianificazione che ha permesso a questa comunità alpina di coniugare tradizione e modernità.
Il Podestà Giovanni Jochum, nel ricevere il premio, ha voluto sottolineare che non si tratta di un traguardo personale, ma di un riconoscimento per l’intera popolazione: “Il Wakker ci invita a guardare al passato, ma ci obbliga a proseguire sulla strada intrapresa”. La giuria ha premiato Poschiavo non solo per i suoi palazzi storici, i nuclei e il borgo armoniosamente conservato, ma anche per l’energia di una comunità che continua a investire sul futuro, valorizzando cultura, turismo e filiere produttive locali. Un impegno che passa anche dal volontariato: decine di cittadini animano i musei, le associazioni e i progetti che mantengono vivo il paese e la valle, contribuendo a rafforzarne l’identità e l’attrattiva turistica.
Il Premio Wakker diventa così non solo un riconoscimento al passato, ma anche uno stimolo per il futuro, perché Poschiavo continui a essere un modello di sviluppo sostenibile nelle Alpi.
La recente polemica sulla conquista dei 14 Ottomila da parte di Marco Confortola, con accuse e smentite che hanno coinvolto persino Reinhold Messner e Silvio “Gnaro” Mondinelli, ci offre lo spunto per riflettere sul senso profondo dell’alpinismo. Non solo cronaca di vette conquistate, ma anche valori, rinunce, solidarietà e memoria.
Tre gli ospiti che ci accompagnano.
Silvio “Gnaro” Mondinelli, uno dei pochissimi alpinisti ad aver scalato tutti i 14 Ottomila senza ossigeno, condivide riflessioni sul valore dell’umiltà, della rinuncia e sul cambiamento dell’alpinismo nell’epoca dei grandi numeri e dei social.
Daniele Foletti, presidente onorario dell’associazione Mani per il Nepal, racconta dieci anni di progetti concreti a favore delle comunità himalayane: ponti, scuole, acquedotti e, più di recente, l’elettrificazione di otto villaggi documentata dal film Oltre la luce.
Infine, Daniele Maini, fotografo di montagna e autore di libri e reportage dedicati alle Alpi ticinesi e grigionesi, ci accompagna con le sue immagini autentiche, lontane dalla spettacolarizzazione, per riflettere sul ruolo della fotografia tra verità, memoria e rispetto dei luoghi.
Un viaggio a più voci che intreccia imprese, solidarietà e cultura, per restituire alla montagna il suo significato più profondo.
Come assicurare assistenza sociale e un servizio di curatela altamente professionali anche nei territori più periferici, dove non sempre è possibile trovare figure qualificate? La risposta più immediata sarebbe accentrare le competenze nelle grandi città, dove è più facile reperire personale specializzato. Ma per l’utenza fragile che vive nelle valli periferiche, questa soluzione comporta trasferte e disagi.
A Poschiavo si sta sperimentando un progetto pilota che va nella direzione opposta. Un modello che vede dialogare sul territorio tutte le figure impegnate nel servizio sociale e in quello della curatela.
La sperimentazione punta a creare una struttura stabile che possa offrire consulenza, sostegno e interventi mirati.
Oltre a rispondere alle esigenze immediate, l’iniziativa vuole diventare un modello replicabile in altre valli e regioni periferiche dei Grigioni.
Lunedì 11 agosto le scuole del Cantone dei Grigioni riapriranno ufficialmente i battenti, mentre solo nel Moesano il rientro è fissato per il 25. È il momento in cui studenti, insegnanti, famiglie – e con loro l’intero sistema scolastico – si rimettono in moto.
Per inaugurare idealmente il nuovo anno, abbiamo incontrato Manuela Della Cà - Tuena, da poco alla guida dell’Ufficio dell’Ispettorato scolastico del Grigioni italiano. Un incarico di responsabilità, al crocevia tra qualità educativa, sostegno alle sedi scolastiche e rapporto diretto con territori diversi e complessi.
In un’intervista a tutto campo, ripercorriamo insieme il suo profilo professionale e il ruolo dell’Ispettorato scolastico oggi, tra continuità e cambiamento. Una voce competente e appassionata per riflettere su cosa significhi “fare scuola” nelle nostre valli, in un tempo che cambia.
Le solenni note della Filarmonica Avvenire Brusio aprono una puntata speciale dedicata all’ultimo villaggio entrato nella Confederazione: Cavaione, minuscolo borgo a 1’300 metri d’altitudine, oggi parte del Comune di Brusio.
Per decenni, i cavaionesi vissero senza patria né cittadinanza. Solo nel 1875, con l’intervento dell’Assemblea federale e un credito straordinario, poterono finalmente diventare svizzeri. A raccontarci questa vicenda poco nota è lo storico Sacha Zala, originario della vicina Campascio.
Con il sindaco di Brusio Pietro della Cà ripercorriamo anche un’altra tappa fondamentale: la costruzione della strada, completata nel 1971 dopo sette anni di lavori, che ha spezzato l’isolamento secolare del paese.
Oggi a Cavaione vivono solo otto persone. Uno di loro, Franco Balsarini, è l’anima della comunità e ci racconta la vita in questo angolo quasi fuori dal tempo.
Chiude la puntata Romana Costa, giornalista di RTR, che ha vissuto una settimana nel villaggio e ce lo racconta con la sensibilità di chi ne ha condiviso il silenzio, i ritmi e la memoria.
Un’edizione per scoprire un luogo che, pur minuscolo, ci dice molto sulla Svizzera e sulla sua storia.
Questa edizione è dedicata alla musica, alla cultura e alla meraviglia degli incontri inaspettati. Siamo in Val Calanca, dove ogni tre anni la musica diventa lingua universale e il paesaggio si trasforma in palcoscenico. Torna infatti il Festival Demenga, che nel 2025 raggiunge la sua settima edizione.
Otto concerti, una mostra suggestiva, una visita guidata… ma soprattutto un filo rosso: l’intreccio tra musica popolare e musica classica. Due mondi che sembrano lontani, eppure – ascoltando bene – parlano la stessa lingua: quella della memoria, della terra, dell’emozione. Dalle danze slave di Dvořák ai ritmi ungheresi rielaborati da Brahms, la musica ci racconta che la tradizione popolare è stata – e resta – linfa per la grande arte.
Dal 2 al 9 agosto, la Val Calanca risuonerà di suoni antichi e contemporanei, con artisti di fama internazionale e la direzione artistica della famiglia Demenga, anima di questo festival che ha saputo ritagliarsi un posto speciale nel panorama musicale svizzero.
Il Festival Demenga è pronto a sorprendere ancora, intrecciando passato e presente, gesti e suoni, corpi e strumenti. Dal 2 al 9 agosto. Ricordiamo che il programma completo è disponibile sul sito ufficiale festivaldemenga.ch.
La filiera del legno è la protagonista di questa edizione. Ci occupiamo quindi di una ricchezza delle Alpi, inestimabile, soprattutto in questo momento in cui si parla con insistenza di transizione ecologica.
I boschi vanno coltivati, soprattutto se di protezione e questo implica un esbosco. Ma che fine fanno le piante abbattute? Come dare ulteriore valore all’intervento sul territorio delle aziende forestali - sino esse private o comunali? A queste domande cercheremo di dare risposta, ma prima di tutto ricordiamo le fasi che incontriamo nel sistema foresta-legno
C’è una fase di raccolta che viene effettuata sia dalle aziende forestali comunali sia da imprese private, c’è una prima trasformazione che comprende le segherie e una seconda lavorazione sostanzialmente formata da falegnamerie artigianali ed industriali e dalle altre produzioni in legno.
Interessante a questo proposito il progetto regionale che sta prendendo piede in Valposchiavo, denominato “legno 100% Valposchiavo”. In pratica si tratta di certificare - così come è stato fatto nel settore agroalimentare - i prodotti derivati dal legname tagliato in valle: dal cippato che alimenta la rete di teleriscaldamento di Poschiavo, alla legna da ardere utilizzata in valle, dai semilavorati impiegati in edilizia a sud e a nord del Bernina, sino ai complementi di arredo.
A partire dal primo agosto, Arno Zanetti, nato nel 1960 e poschiavino doc, andrà ufficialmente in pensione, concludendo una carriera straordinaria nel mondo dell’educazione e dell’insegnamento. Zanetti ha dedicato la sua vita alla scuola: prima come studente, poi come insegnante e, negli ultimi otto anni, come ispettore scolastico del Circondario del Grigione Italiano, ruolo che ha condiviso con entusiasmo e affiatamento con la brusiese Manuela Della Ca-Tuena.
Nel corso della sua carriera, Zanetti ha accumulato un’esperienza vasta e diversificata, che gli ha permesso di conoscere a fondo il sistema educativo e tutti i suoi meccanismi. Oltre ad essere stato insegnante, ha ricoperto il ruolo di presidente della Conferenza regionale del distretto Bernina, è stato membro del Comitato centrale degli insegnanti, direttore scolastico delle scuole comunali di Poschiavo dal 2003 al 2017 e, infine, ispettore scolastico. In quest’ultimo ruolo, si è dedicato a valutare e sostenere la scuola, monitorando costantemente la qualità dell’insegnamento.
Come ispettore scolastico, Zanetti ha interagito con oltre 220 insegnanti (per un totale di 1350 alunni), offrendo consulenza su questioni di pianificazione scolastica, gestione dei conflitti e supporto didattico-metodico e pedagogico.
Turisti in difficoltà da soccorrere, una scolaresca da recuperare nel bosco, un aereo civile disperso nel bosco. Questi sono solo alcuni degli scenari che “Grifone 2025” ha allestito per l’imponente esercitazione internazionale di soccorso aereo - il principale evento in Italia nell’ambito del SAR (Search and Rescue) - che si è svolta in Valtellina, nel mese di giugno, sulle Alpi Retiche. Più di 500 militari appartenenti all’Aeronautica Militare, alla Marina Militare, e alle diverse forze dell’ordine italiane, si sono dati appuntamento con i loro mezzi all’Aviosuperficie di Caiolo, a due passi da Sondrio. Presenti anche due Super Puma: uno dell’Esercito del Aire spagnola, l’altro dell’Aeronautica Militare Svizzera.
Ben 48 le ore di volo con 80 tra atterraggi e decolli sono stati gestiti dal Rescue Coordination Centre (RCC) del Comando Operazioni Aerospaziali che ha coordinato anche gli uomini del Corpo Nazionale del Soccorso Alpino e Speleologico e del Soccorso Alpino della Guardia di Finanza.
Si è trattato di un evento internazionale interforze a cui hanno partecipato anche 20 osservatori stranieri che hanno potuto toccare con mano il grado di cooperazione internazionale raggiunto, indispensabile per la riuscita di un intervento quando si opera sul confine, quando sono coinvolte le forze aeree di diverse nazioni. In questo caso Italia, Spagna e Svizzera.
“A 16 anni, nel 1814, se ne va. Fra mille incognite. Pressoché a piedi, raggiunge Bilbao, in Spagna. Perché proprio in quella città? Come ci si arriva senza saper nulla del mondo? Quanto tempo ci si impiega? È inevitabile fermarsi ogni tanto, cammin facendo, a svolgere qualche lavoretto in cambio di pochi spiccioli, un alloggio o un pasto caldo”. Pietro Rodolfo Fanconi lascia giovanissimo la Valposchiavo in cerca di fortuna lontano da casa. Fa la gavetta come tutti, poi si afferma come caffettiere in Spagna e aiuta a creare una vasta rete di Café Suizo in tutta la Spagna insieme alla famiglia Matossi.
Come lui, tanti altri sono partiti tra la fine del Settecento e l’inizio del Novecento. Moltissimi hanno in comune la scelta del mestiere di pasticciere o caffettiere. C’è chi è rimasto all’estero e chi è tornato in patria, portando con sé competenze, nuove idee e soldi da investire e aiutando a cambiare la società e il volto del paese.
Questa forma di emigrazione è un capitolo importante della storia della Valposchiavo ed è comune ad altre regioni dell’arco alpino, come testimonia l’iniziativa della Nova Fundaziun Origen, che ad un pasticciere emigrato da Mulegns ha dedicato la Torre Bianca, ed.
L’associazione iSTORIA dedica a questo fenomeno che ha completamente cambiato il volto di Poschiavo fenomeno il libro fotografico “E sem partì - Storie di emigrazione”. Il volume racchiude le vicende di 20 famiglie di pasticcieri e caffettieri raccontate in immagini e con brevi testi in italiano, tedesco e inglese, a beneficio anche dei discendenti degli emigrati rimasti nei paesi d’adozione ma ancora legati alle loro origini.
Frane, alluvioni, smottamenti, quando va bene la conta dei danni riguarda edifici e infrastrutture ma sempre più spesso si contano anche vittime.
Le Alpi si riscoprono sempre più fragili. Nel 1987, Valtellina e Valposchiavo finirono in ginocchio per una frana ciclopica (parliamo di 20 milioni di metri cubi di materiale) che cancellò un paese e devastò il territorio causando 29 vittime. Nel 2017 - il 23 agosto - una frana sul pizzo Cengalo travolse e uccise 8 escursionisti. Lo scorso anno in Mesolcina e di recente a Blatten nel Canton Vallese, un intero paese è rimasto sommerso dalla frana innescata da un ghiacciaio. Grazie ai sistemi di monitoraggio l’abitato era stato evacuato da giorni e non ci sono state vittime.
Questi sono solo i più estremi eventi calamitosi che si sono verificati negli ultimi 40 anni sulle Alpi, ma ogni regione alpina può citare eventi più o meno importanti legati alla sicurezza idrogeologica.
C’è dunque da interrogarsi, ma c’è anche da riflettere prendendo spunto da quanto avvenuto in passato. La frana della Val Pola, ad esempio, in Valtellina se da un lato ha dato il via in modo ufficiale alla nascita della protezione civile in Italia, dall’altro ha segnato una serie di ritardi e di ingerenze burocratiche che hanno reso la vita di chi ha perso tutto, se non un inferno, un’odissea, come testimonia l’ospite di questa puntata: Stefano Confortola. Il valtellinese riuscì miracolosamente a salvarsi nel 1987 - perse però i genitori - ma non è mai riuscito a lasciarsi alle spalle quanto avvenuto dopo.