L’episodio 4, “L’arte del savoir-vivre: vivere il lusso e di lusso, non nel lusso” del podcast “Che cos’è e che cosa non è il lusso”, si configura come un itinerario speculativo e sensoriale nel cuore del concetto di lusso dal punto di vista della filosofia del vivere, inteso non come categoria univoca, bensì come dimensione plurima e stratificata, che si manifesta secondo tre distinte modalità esistenziali: vivere il lusso, vivere di lusso e vivere nel lusso. Ciascuna di esse incarna una diversa postura nei confronti dell’essenza del lusso, delineando un percorso che si estende dall’intimità dell’esperienza immateriale fino alla più vacua esteriorità dell’ostentazione.
“Vivere il lusso” rappresenta l’apice della consapevolezza, un’esperienza che trascende la materialità e trova la sua massima espressione nell’apprezzamento dell’immateriale: il tempo, la libertà, la salute, l’autenticità dei legami e la pienezza dell’essere. È una dimensione interiore, fatta di riconoscenza e di sguardo lucido sulla rarità delle cose non garantite, un lusso dell’anima che si alimenta di coscienza e di gratitudine.
“Vivere di lusso” si colloca su un piano altrettanto nobile, ma più tangibile. Esso si fonda sulla selezione raffinata, sulla capacità di discernere e scegliere quello che trasmette bellezza, arte, heritage, valore intrinseco. Qui il lusso diviene un esercizio di discernimento estetico e morale che antepone la qualità alla quantità, la sostanza all’apparenza, l’esperienza al mero possesso.
“Vivere nel lusso”, per contro, si pone come la manifestazione più degradata e superficiale del concetto: un lusso ridotto a spettacolo, in cui il prezzo sostituisce il valore e l’apparire soppianta l’essere. È un lusso che vive di riflesso, incapace di introspezione, privo di radici culturali e di sensibilità estetica, in cui l’ostentazione e l’accumulo soffocano l’autenticità e l’elevazione.
L’episodio si addentra poi in una riflessione più ampia sul lusso quale fenomeno culturale e antropologico, mettendo in luce la crescente confusione tra lusso autentico e il suo surrogato. Oggi, cultori ed emuli condividono spazi, oggetti ed esperienze, dissolvendo i confini un tempo netti tra l’eccellenza e la sua imitazione. La società, nel suo affannoso desiderio di apparire, ha smarrito il senso della selettività, riducendo il lusso a industria, a commercio, a meccanismo di massa.
Il vero lusso, invece, è dialogo costante tra cultura, arte, savoir-faire e bellezza. È una tensione spirituale verso l’assoluto, ma anche un gioco di seduzione sottile, un dualismo armonico tra l’elevazione e il piacere, tra la misura e l’ebbrezza. Esso sfida la banalità del quotidiano e restituisce valore al tempo, all’inutilità feconda, al piacere vissuto con lentezza e consapevolezza. In un mondo dominato dall’efficienza e dalla frenesia, il lusso diventa, paradossalmente, la capacità di “perdere tempo”, di abitare la lentezza, di trasformare l’attesa e la contemplazione in atti di autentica elevazione.
La narrazione si conclude con una riflessione sull’arte del vestire, intesa come suprema manifestazione del savoir-vivre e specchio dell’eleganza interiore. In un’epoca segnata dal trionfo del cattivo gusto e dall’omologazione stilistica, l’abito torna a essere linguaggio e identità, strumento di distinzione e testimonianza di cultura estetica. L’eleganza, come il lusso, non risiede nella ricchezza materiale, ma nell’armonia, nella proporzione, nella discrezione e nella consapevolezza del proprio ruolo nel mondo.
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