In questo libro c'è qualcosa che ci interroga ben oltre i confini della nostra gioventù

Volevo iscrivermi a Filosofia in Statale ma la domanda per il presalario non andava mai bene, finché un giorno mentre tornavo da Milano incontrai Massimo che mi consigliò di iscrivermi alla Bocconi e di rivolgermi a "compà Licio". Così presi appuntamento con lui e ci recammo in Bocconi. Lui prese i miei documenti e entrò in segreteria. Dopo dieci minuti uscì con tipo alto più o meno come lui, i capelli rossi, radi, il viso tondo che chiese a Licio "E' questo De Fabritiis?" Non feci in tempo a rispondere che continuò "va bene presenta la domanda che ti diamo il presalario". Lui era Salvatore Grillo e quella fu la prima volta che lo vidi.

Un giorno mentre ero nell'ufficio di Salvatore a parlare con lui, giocavo a tirare sù il calamaio che era sul suo tavolo finché,, a un certo punto quello cadde sul tavolo facendo partire l'inchiostro in tutte le direzioni. Io rimasi basito, pronto a una reazione violenta e irosa come quelle di mio padre ma Salvatore invece scoppiò a ridere, saltando sulla sedia come un bambino. Il ricordo del calamaio è il mio modello. 

A distanza di trent'anni torno in Val Tidone dove Salvatore mi aveva portato un sabato o una domenica degli anni in cui vivevo in Pensionato perché c'era stata una frana che aveva danneggiato "il Mulino", un edificio di sua proprietà che funzionava già allora come luogo di accoglienza per i giovani. Rivivo delle strane impressioni e poi prendo lì in affitto una casa.  

Anche se Direttore del Pensionato, Salvatore continuava a lavorare nel ristorante dei suoi genitori "da Giannina", in Piazza Diocleziano. Quando i lavori della Commissione andavano per le lunghe ci caricava in macchina e ci portava lì dove mangiavano qualcosa con il personale. L'accordo era che non andassimo lì come clienti durante il servizio ma una sera mi invitò assieme ad altri e per divertirsi un po' tento di farci attaccare lite con un tale che ci presentò come un vero fascista.    

Dalla morte di Roberto Franceschi, avvenuta solo un anno prima, sembrava fosse trascorso un decennio. Ora ci occupavamo del miglioramento di cose concrete e in Pensionato eravamo alle prese con piccoli problemi di vita quotidiana, tesi a migliorare una situazione già privilegiata. Uno dei temi su cui ci esercitavamo era la mensa universitaria. La scintilla che fece esplodere tutto fu rappresentata dal classico verme nella minestra. La sera l'assemblea degli studenti decise l'occupazione e qualcuno tracciò sulla porta di Salvatore, il disegno di un verme che rientra nella sua tana.   

Dal primo anno di Pensionato entrai a fare parte della Commissione degli Studenti, cioè dell'organismo delegato dall'Assemblea a partecipare all'esame delle domande di ammissione al Pensionato. In quegli anni accoglievamo anche studenti di altre università milanesi ma a volte accadeva che non fossero neanche iscritti, come Nino. 

Dopo l'introduzione dei decreti delegati, in Pensionato decidemmo di partecipare alle elezioni, nonostante l'opposizione dei gruppi di Lotta Continua e Avanguardia Operaia dell'Università che fecero di tutto per boicottarci. La nostra lista vinse e io e Licio fummo eletti nel Consiglio di Amministrazione dell'Opera Universitaria. 

Con lo sviluppo dell'autonomia operaia la situazione del Pensionato cambiò profondamente e il nostro stile di gestione incontrava degli ostacoli. MI distaccai dalla politica e poiché avevo dei risparmi accantonati grazie al mio lavoro di comparsa alla Scala, alla frequenza di un corso di formazione dove venivamo pagati per partecipare e alla redazione di una tesi per conto di una signora fuori corso,  ne approfittai per andarmene in Inghilterra. Al ritorno venni nominato responsabile degli universitari comunisti ma a un certo punto mi dimisi. Lasciato il pensionato andai a lavorare alla Lega delle Cooperative dove mi ritrovai presto coinvolto in un disastro da cui però riuscii a tirarmi fuori brillantemente diventando un risanatore.

Nella vita accade che alcune situazioni del passato si ripresentino. Mentre lavoravo alla Lega delle Cooperative, mi venne offerto di occuparmi della Gestione Cooperative Mense che gestiva ancora il Pensionato Bocconi e attraversava delle difficoltà. Accettai, conoscevo la società e mi veniva offerta l'occasione di poter tornare in Pensionato dove ero certo che Salvatore mi avrebbe dato una mano. Non sapevo che ne avrebbe approfittato per rendermi pan per focaccia.  

Il tempo passa rapidamente. Dopo aver smesso di lavorare alla Lega delle Cooperative inizio a fare consulenza. Nel frattempo mi separo da Cristina e alcuni anni dopo vado a vivere con Sabine. Nel 1995 nasce la prima figlia. Poi divento dirigente della Mondadori. Nel 1997 nasce Marlene e compriamo casa. Dove? Vicino al Pensionato e all'Università Bocconi naturalmente. 

Nel 1997 ero tornato a vivere accanto al Pensionato Bocconi ma avevo poco tempo e non lo incontravo spesso. Poi dopo il mio licenziamento dalla  Mondadori abbiamo ripreso a vederci ma lui è il solito.

Non è facile fare i conti con la morte e quando, mentre eravamo in vacanza in Grecia nel 1975 o 1976, arrivò la notizia della morte di Ciro e Gabriella, non ebbi il coraggio di parlarne con gli altri. Poi quando molti anni dopo morì Licio, pensai che per noi cinquantenni, era ora che facessimo qualcosa. Ne parlai con Salvatore e nacque Pensionato Bocconi Sempre.

Non tutti i morti hanno lo stesso peso e alcuni sembravano più importanti di altri. Ognuno ha i suoi morti ma per una comunità che voglia continuare ad affermare dei valori l'esempio del passato dovrebbe essere importante nel presente.

Tutta la nostra attività politica di quegli anni ruotava attorno a un tema fondamentale, quello della giustizia sociale. Il nostro compito era realizzarne un po' ogni volta che fosse possibile ma Salvatore aveva buon gioco a spulciare tutte le nostre magagne e a metterci immediatamente in crisi qualora non fossimo stati più che coerenti con i nostri principi.

Salvatore racconta di aver dovuto la sua conversione a Don Della Torre. Io l'ho conosciuto solo attraverso un libro che mi regalò Salvatore. "Chi ama dà la vita".

Quando Franco, un brigatista della prima ora, responsabile del ferimento di Indro Montanelli, chiese a Salvatore Grillo di poter rendere omaggio alla sua vittima di un tempo. 

Dopo trent'anni incontro ancora Salvatore mentre accompagno a scuola le mie bambine e ci benediciamo a vicenda.

Salvatore Grillo racconta di quando trovò il manoscritto di Trent'anni a Milano