«Il Natale mi fa pensare a quelle anfore romane che ogni tanto i pescatori tirano fuori dal mare con le loro reti, tutte ricoperte di conchiglie e di incrostazioni marine che le rendono irriconoscibili. Per ritrovarne la forma, bisogna togliere tutte le incrostazioni. Così il Natale. Per ritrovarne il significato autentico, bisognerebbe liberarlo da tutte le incrostazioni consumistiche, festaiole, abitudinarie, cerimoniose, eccetera, eccetera. Poi si vedrebbe». Queste parole sono più vere oggi di quando l’ateo Alberto Moravia le scrisse nel 1953. Contemplare il presepe è ancora il rimedio più efficace per ricongiungerci con lo spirito autentico del Natale, quello che spesso associamo solo alla nostra infanzia ma che invece è sempre lì, pronto ad essere vissuto in ogni momento. Se dici “presepe”, pensi “famiglia”: sì, vero, ci sono anche il bue e l'asinello, i pastori, i re Magi, l’angelo e così via. Ma i veri protagonisti sono tre: Giuseppe, Maria e il Bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia. Tre come gli episodi di questo nuovo podcast di Treccani in cui vi condurrò in un viaggio nella simbologia umana del presepe. Io sono don Luigi Maria Epicoco e questo è “TreCcose sul Natale” scritto con Nico Spuntoni
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