Le lectio degli Atti degli Apostoli tenute da Silvano Fausti e dai suoi confratelli della Comunita di Villapizzone (Milano) il lunedi sera.
L'icona è l'opera "Der Morgen am See" di Sieger Köder
Eventuali ulteriori informazioni possono essere trovate su http://www.schwabenverlag-online.de/sk_vita.php
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Lectio degli Atti degli Apostoli di lunedì 1 dicembre 2014
Lectio: Atti degli Apostoli
1 hour 13 minutes 42 seconds
10 years ago
Lectio degli Atti degli Apostoli di lunedì 1 dicembre 2014
Commento a Atti 23, 12- 35
Il voto a Dio uccidere Paolo
È l’ultimo giorno di Paolo a Gerusalemme. La sezione da 23,12 a 26,32 racconta la sua lunga vicenda processuale. Tradotto da Gerusalemme a Cesarea, Paolo da qui comincerà il suo viaggio per Roma. Nel non breve frattempo avrà l’occasione di testimoniare davanti a governatori (Felice: At 24,1ss; Festo: At 25,1-12) e a re (Agrippa e Berenice: At 25,13-26-32). Anche l’intera vita pubblica di Gesù fu un costante processo da parte delle autorità, con la condanna a morte già decisa dall’inizio (cf. Mc 2,7; 3,6).
Nel processo contro Paolo risplende la sua mitezza. Come già aveva fatto prima di lui il suo Maestro, non risponde ad accuse e offese. Ma mentre il Signore taceva, Paolo invece parla. Infatti deve testimoniare con franchezza la salvezza che il silenzio di Gesù ci ha portato.
All’origine dell’arresto di Paolo c’era l’accusa di profanatore del tempio: vi avrebbe introdotto il pagano Tròfimo. Anche Gesù fu accusato di voler distruggere il tempio (Mc 15,19).
Nella sua apologia Paolo prova la propria innocenza. Lui risulta miglior giudeo dei rappresentanti ufficiali del giudaismo, sia sul piano personale che teologico. E Dio stesso lo ispira e protegge.
Inoltre la sua difesa prova che la fede cristiana non ha colpe nei confronti di Israele e tantomeno nei confronti della legge romana.
Il cristianesimo ha quindi la stessa liceità della religione giudaica- riconosciuta come “religio licita”. Ne è anzi il suo compimento, secondo la promessa fatta ad Abramo e ribadita dai profeti.
Paolo, come si è “fatto debole con i deboli, per guadagnare i deboli”, sa farsi “tutto a tutti, per salvare ad ogni costo qualcuno” (1Cor 9,22). Infatti anche con i potenti sa trattare alla grande: il governatore Felice si interesserà di Gesù e il re Agrippa dirà quasi quasi di essere convinto a farsi cristiano. Cristo è davvero “il salvatore del mondo” (Gv 4,42).
Il suo processo davanti al Sinedrio è finito in putiferio, con pericolo di linciaggio. Il giorno dopo più di quaranta “zelanti” fanno voto di ucciderlo e organizzano una trappola. Propongono al tribuno di farlo convocare di nuovo per valutare meglio la sua causa. In questo modo avrebbero avuto l’opportunità di ucciderlo nel tragitto dal pretorio al Sinedrio. Per tre volte in dieci versi si menziona questa congiura. L’ostilità e accanimento dei correligionari contro Paolo fa da contrappunto alla cordialità e correttezza dei Romani, che garantiscono diritto e giustizia. Ovviamente lo scopo di Luca è di ingraziarseli. È meglio non provocare l’inimicizia dei potenti!
La forte animosità dei Giudei contro Paolo sono una conferma di quanto gli fu detto in estasi dal Signore: “Affrettati ed esci presto da Gerusalemme, perché non accetteranno la tua testimonianza” (22,18).
I giudeocristiani di Gerusalemme si sono eclissati. Per loro non è prudente esporsi e rompere quella pace, proficua e feconda, con i Giudei. Si può però supporre l’interessamento di Luca e compagni che sono andati con lui a Gerusalemme e lo accompagneranno nel fortunoso viaggio verso Roma (cf. 21,17 e 27,1).
A venire in aiuto di Paolo sarà un suo nipote di Gerusalemme, che è venuto a sapere della congiura. Per il resto, nel momento decisivo, Paolo è solo. La sua solitudine è come quella di Gesù, catturato e abbandonato da tutti. Il “giovinetto” che informa e poi scompare, ricorda quello di Mc 14,51s (forse firma dell’autore). Tra l’altro Marco stesso fu con Paolo e lo lasciò (At 13,13).
Il voto a Dio dei quaranta fervorosi farisei di non mangiare né bere finché non avessero ucciso Paolo richiama la connessione strettissima tra violenza e sacro. L’argomento merita una considerazione. Sempre si è ucciso e si ucciderà in nome di dio, patria e famiglia (leggi danaro, potere e valori innegoziabili), oppure in nome dell’ideologia (“divina” anche se sostenuta da atei!) di fraternità, libertà ed eguaglianza.
La vita, bene supremo e supporto di ogni altro, è inviolabile da parte dell’uomo. Nessuno è padrone della vita propria, tanto meno di quella altrui. Per uccidere si ricorre a una presunta legittimazione di Dio, origine della vita. Le guerre peggiori sono quelle a motivazione religiosa - come quelle dell’Islam che si diffuse (e si diffonde) con guerre sante. Lo stesso vale per la risposta delle crociate o le guerre tra protestanti e cattolici che devastarono l’Europa dal 1559 (pace di Chateau Cambrésis) al 1648 (pace di Westfalia). Non meno disastrose furono quelle a copertura ideologica del nazismo, del fascismo e del comunismo, per tacere dello sterminio sistematico degli indiani dell’America del nord e del colonialismo in genere. La storia, da Caino in poi, è una catena di violenza che ci lega e trascina tutti nella morte. Anche oggi assistiamo in Medio Oriente a una guerra mondiale “a rate”, dove il detonatore della violenza è sempre religioso. Se si guarda più a fondo però la religione è solo il manto di cui si veste la violenza. La sua (ir)realtà viene dal “dio di questo mondo”, il danaro, o meglio la borsa, che promette potere su tutto e tutti.
Uccidere in nome di Dio è il massimo crimine: nega l’essenza di Dio e dell’uomo. Dio non è “padrone della vita”, con “jus utendi et abutendi” fino a distruggerla. Questo dio in realtà è satana, che proietta la propria immagine su di lui. Dio non può togliere o distruggere la vita. Lui è datore di vita: la dona e la per-dona di continuo, perché Dio è tutto e solo amore. Il dio che distrugge i cattivi è quello che vorrebbe Giona, prototipo di ogni persona “religiosa”. Perché Dio non annienta la grande città di Ninive, simbolo di ogni male? Con mortale angoscia Giona rimprovera Dio di essere “misericordioso e clemente, longanime, di grande amore e che si lascia impietosire” (cf Gn 4,1ss). Pare che il profumo che delizia il “religioso” sia il fumo d’arrosto degli empi.
Bisogna che tutte le persone “religiose”, anche ciellini e mussulmani, comincino a non disonorare Dio, facendone una maschera diabolica e una siepe che divide dagli altri. Questa siepe di zelo è sempre pronta a incendiarsi per mettere l’altro a ferro e fuoco - fuoco quando possibile, altrimenti ferro Da tale zelo focoso non sono esenti né il profeta Elia con il suo discepolo Eliseo, né l’apostolo Giacomo con suo fratello Giovanni (cf 1 Re 18,40; 1Re 1,10; Lc 9,54). Pietro a sua volta si accontenta di tagliare orecchi (Mc 14,47).
Paolo stesso, prima di dell’incontro di Damasco, vuole sterminare tutti i cristiani in nome di Dio (At 9,1ss).
E che dire dei roghi della nefanda, o meglio“Santa”, Inquisizione” con i suoi roghi arcaici e sempre attuali? Ci troviamo davanti alla più grande bestemmia contro il Dio rivelatosi in Gesù. E viene proprio da coloro che dovrebbero conoscerlo e amarlo. Addirittura si usa il nome della Santissima Trinità per condannare fratelli. Nel verdetto del processo contro il “Corvo” si legge: “Sua Santità (omissis) felicemente regnante, in nome della santissima Trinità (omissis) ti condanna (omisssis), ecc. …”. E non siamo in epoca dinosaurica o medievale! Il fatto è di due anni orsono Il tragico è che i suoi autori sono purtroppo in buona fede (?). Anzi, hanno agito a fin di bene, per conservare la sacra, o meglio esecranda, tradizione. Gesù direbbe loro ciò che disse ai farisei: “Siete veramente abili nell’eludere il comandamento di Dio per osservare la vostra tradizione” (leggi Mc 7,1-23).
La stupidità del potere - anzi dell’amore del potere - è madre di violenza. Si conserva e prospera in perfetta (in)coscienza, spudorata e paludata di sacralità divina.
Ammiro sant’Ambrogio di Milano soprattutto perché, invece di usare il potere dell’imperatore per arrostire eretici, scomunicò l’imperatore Massimo perché aveva ucciso a Treviri l’eretico Priscilliano.
“Il nome di Dio è bestemmiato per causa vostra tra i pagani”, dice Paolo ai cristiani di Roma (Rm2,24), citando Isaia 52,5 ed Ezechiele 36,20,22.
È veramente mirabile come Dio porti avanti il suo disegno utilizzando tutte le contraddizioni al suo disegno (leggi Rm 11,25-36!). Paolo infatti testimonierà a Roma, come il Signore gli ha predetto, grazie a complotti di nemici e a ignavia di giudici.
A pensarci bene, non solo tutta l’attività di Paolo, ma anche quella del suo Signore è stata segnata da queste caratteristiche. Come è proprio dell’uomo fare il male con il bene, è proprio di Dio indirizzare il nostro male al bene. È quanto dice Giuseppe ai suoi fratelli: “ Se voi avevate pensato del male contro di me, Dio ha pensato di farlo servire a un bene, per compiere quello che oggi si avvera: far vivere un popolo numeroso” (Gen 50,20).
Nel tessuto della storia la nostra miseria è la trama e la misericordia di Dio l’ordito. La chiave che ne apre il mistero è la croce, dove il massimo male diventa il massimo bene. Il rotolo della vicenda umana, scritto dentro è fuori, è chiuso da sette sigilli che nessuno può aprire. Lo può aprire solo “l’agnello ritto e immolato”, risorto perché crocifisso (Ap 5,1ss). È quanto scopre la chiesa apostolica dopo la prima persecuzione: “Davvero in questa città si radunarono insieme contro il tuo santo servo Gesù che hai unto come Cristo, Erode e Ponzio Pilato con le genti e i popoli di Israele, per compiere ciò che la tua mano e la tua volontà avevano predefinito che avvenisse”(At 4,27s).
Il male c’è. La storia è un brutto dramma fatto dall’uomo. E Dio non è estraneo: lo vive in prima persona. Ed è Signore sul male perché è “l’Agnello di Dio che porta su di sé il peccato del mondo” (Gv 1,29). Questo ci fa vedere la storia come salvezza dalla perdizione. Infatti il male ci apre gli occhi sull’essenza di Dio e dell’uomo: Dio è amore infinito e l’uomo infinitamente amato.
Secondo “il grande Hallel” il perché primo e ultimo di tutta la creazione e di tutta la storia è l’eterna misericordia di Dio che si riversa sull’abisso di ogni miseria (leggi Sal 136).Davvero “laddove è abbondato il peccato, ha sovrabbondato la grazia”! (Rm 5,20).
DIVISIONE
a. vv..12-15: congiura e complotto per uccidere Paolo
b. vv. 16-17: il nipote informa Paolo del complotto e Paolo il centurione
c. vv18-21: il centurione introduce il giovinetto dal tribuno
d. v. 22: resti segreta l’informazione!
Lectio: Atti degli Apostoli
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