
“È un attentato, anche se rudimentale, che ci riporta indietro di 30 anni. Ai tempi dell’autobomba a Maurizio Costanzo, e a quella di Daphne Caruana Galizia.” Così Jamil El Sadi, redattore di ANTIMAFIADuemila, commenta nel podcast “Duemila Secondi” l’esplosione avvenuta davanti casa di Sigfrido Ranucci, conduttore di Report. Un episodio che, sottolinea El Sadi, non è solo un fatto di cronaca nera, ma un chiaro segnale di minaccia all’indipendenza del giornalismo investigativo. “Non è solo l’albero, l’attentato. Dobbiamo guardare il bosco: è il clima. Un contesto di delegittimazione sistematica verso il giornalismo d’inchiesta, costruito negli ultimi anni da pezzi importanti della politica di governo.” Il riferimento è alle querele temerarie, gli attacchi personali, le campagne di discredito. “Quando non possono ucciderti fisicamente, provano a farlo con la delegittimazione”, continua. “Si colpisce l’inchiesta non nel merito, ma screditando chi la firma. È successo con Fanpage, è successo con Saviano, accade con chiunque provi a raccontare il potere con onestà.” Il giornalismo, conclude, “è un faro. E come diceva il Washington Post, la democrazia muore nell’oscurità. Oggi serve una legge vera contro le querele temerarie. E serve subito”. Mentre in Italia si accendono le sirene per la libertà di stampa, a Washington si gioca una partita altrettanto delicata: la prosecuzione - o la fine - della guerra in Ucraina. Al centro del vertice tra Donald Trump e Volodymyr Zelensky, i missili Tomahawk, armi a lungo raggio capaci di colpire fino a 2.500 km di distanza. Potenzialmente, Mosca inclusa. Del tema ne ha parlato Francesco Ciotti. Secondo il giornalista Ciotti, “i Tomahawk rappresentano un salto quantico nella guerra. L’Ucraina potrebbe colpire fino a 1950 siti militari russi. Sono missili dual use: possono portare testate convenzionali, ma anche nucleari.” Eppure, l’incontro non è andato come Zelensky sperava. Trump, reduce da una telefonata di due ore e mezza con Putin, ha mostrato poco entusiasmo per la cessione dei missili: “Non possiamo esaurire le nostre scorte”, ha dichiarato con la consueta ambiguità, mentre Zelensky, documento alla mano, sperava in un via libera che non è arrivato. “È l’ennesimo schiaffo diplomatico a Zelensky”, commenta Ciotti. “Un mese fa Trump gli diceva che avrebbe potuto riconquistare tutti i territori. Oggi lo rimette al suo posto, dicendogli, di fatto, che deve trattare con Putin.”
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