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Diario D'artista
Flavio Parenti
211 episodes
5 days ago
Storie brevi, intime, dove racconto il mio viaggio nella scrittura, nella recitazione e nella vita d'artista.
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Society & Culture,
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Storie brevi, intime, dove racconto il mio viaggio nella scrittura, nella recitazione e nella vita d'artista.
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Episodes (20/211)
Diario D'artista
Gusto e Arte
I miei nonni toscani avevano un ristorante. Mio padre, cresciuto in quell’ambiente, ha poi intrapreso una strada completamente diversa. È partito per la Francia a studiare matematica, per poi finire nell’informatica (ecco spiegato il mio lato tecnologico). Io, invece, come sapete, mi muovo nell’arte di raccontare storie. Ma c’è una cosa che è passata di generazione in generazione senza perdere il proprio smalto: l’amore per la cucina. Quella italiana, tradizionale, che sia mio nonno o mia nonna preparavano con tanta pazienza — ore ai fornelli, sobbolliture lente, crostini toscani, agnello al forno, lasagne (li troverete tra le pagine de L’Anello di Saturno) — ma anche cucina internazionale. Mio padre, infatti, ha portato in casa il cous cous, il curry e un’infinità di piatti asiatici, proprio come Alberto nella saga. Insomma, ho ricevuto un meraviglioso regalo genealogico: il gusto. Lo considero un elemento fondamentale della mia visione di ciò che è l’arte. Se ci pensate, la forma d’arte più profonda che abbiamo è proprio la cucina. Un’opera che viene assorbita in toto dallo spettatore, che la fa letteralmente sua. Proprio come nella buona arte, una buona pietanza richiede spesso un lungo tempo di cottura, per fare in modo che gli atomi si amalgamino, proprio come le parole e i pensieri di un libro. E poi, anche l’occhio vuole la sua parte. Si mangia con lo sguardo, con l’olfatto, poi col palato e infine con il corpo. Raccoglie molti dei nostri sensi. Per chi cominciasse a leggermi ora, ho una teoria per la buona scrittura, che chiamo la tecnica della pizza. Una buona storia è fatta di ingredienti semplici che insieme creano reazioni chimiche interessanti: acqua, farina, sale e poi… tempo. Serve la fermentazione, che la fa lievitare in pasta madre. E lì inizia il lavoro manuale: impastare, stendere, ornare di gusto e ingredienti, cuocere. E infine, l’impiattamento. Spesso ritrovo in colleghi, attori e non, questo piacere per la cucina. In Italia, soprattutto, c’è un amore per la tavola, per la condivisione di un momento di comunione in cui tutti insieme assaggiamo lo stesso gusto. È una forma di catarsi che, purtroppo, è sempre meno presente in questa società che ci atomizza, ci isola. Ieri ho fatto le lingue di gatto a mia figlia, una ricetta tanto semplice quanto buonissima: «stesso peso di farina, zucchero, albume e burro». Tutto lì. Quasi magica, si potrebbe dire. Otto-dieci minuti di cottura a 200 gradi e voilà: li fate seccare e avete biscotti che valgono dieci volte quelli del supermercato. E soprattutto un sorriso sul volto degli astanti, che non riescono a credere che un biscotto possa essere così buono. Occhio però, danno dipendenza e fanno ingrassare, quindi moderazione. Ecco, la moderazione, questa sconosciuta! Non ci riesco. Se mi ritrovo davanti un pacchetto di biscotti, per non parlare delle mie lingue di gatto, cedo. Come diceva Oscar Wilde nel magnifico «Ritratto di Dorian Gray», l’unico modo per resistere a una tentazione è cedervi. Ecco, Oscar, sono bravissimo a resistere . La gola potrebbe essere il mio peccato capitale, temo. A volte mi confronto con questi sette mostri, più per tentare di comprendermi, di associarmi a uno di loro, un po’ come i segni astrologici. Sarebbe divertente se, al posto di chiederci «sei toro o ariete?», chiedessimo «sei più gola o lussuria?» Una intima confessione illuminante e affascinante. E voi, cosa vi sentite? Superbi, avari, lussuriosi, irascibili, golosi, invidiosi, pigri? Anche la superbia mi calza a pennello, temo. Goloso e superbo: che combo! Alla prossima pagina.
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6 days ago
4 minutes 30 seconds

Diario D'artista
Crisi e Rinascita
Io sono uno scettico, di natura bastian contrario. Non credo, nemmeno se vedo con i miei occhi. Eppure, la mia profonda curiosità per la natura delle cose mi ha condotto, per la prossima saga, attraverso le correnti del paranormale, dell’astrologia, della chiromanzia, dei medium. Attraverserò oceani di manipolazioni, sette, guru e seducenti streghe. Io, come Erik, affronto tutto questo con lo spirito di chi dubita. Ma a differenza del mio eroe, non sono nella stessa fase della vita, non sto vivendo la stessa crisi. A volte è proprio questo che conta: quanto si è in crisi. I migliori, persino i più intelligenti, possono cadere nelle reti di chi desidera altro che amicizia e non è animato da buone intenzioni. Lo leggiamo spesso: le vittime di un sedicente guru possono essere un dottore, uno psicanalista, persone normali, unite però da ferite complesse, da un passato fatto di segreti, delusioni e punizioni forse ingiuste. Tutti noi abbiamo avuto a che fare con il dolore del mondo. E tutti abbiamo fatto ciò che potevamo per risalire la china, dimenticare, migliorarci, tornare a vedere il sole. Ma alcuni, invece di affrontare il dolore e sanarlo con la consapevolezza, scelgono di chiudersi in un mondo di buio. In una scatola dentro la quale non si sente più nulla, nemmeno il dolore. Un castello apparentemente indistruttibile dove vivere la quotidianità come se non ci fosse differenza tra giorno e notte, estate e inverno, piacere e dolore. Obnubilati da qualcosa: il gioco, il lavoro, le droghe, l’alcol. Erik, come scoprirete, ha scelto il lavoro. Spesso, chi decide di perdersi trova un successo derivato da una follia apparente, superficiale, che però non sana davvero le ferite dell’anima. E poi, un giorno, succede qualcosa di banale, un piccolo avvenimento, una crepa minuscola che si apre fino a diventare una voragine. Ed è a quel punto che tutto si libera. È in quel momento che si insinua, come nebbia, la manipolazione di chi desidera ciò che Erik ha. La domanda ora è: ce la farà il nostro eroe a sopravvivere alle intemperie di un mondo che aveva dimenticato esistesse? Sotto le corazze più dure si nascondono i cuori più teneri. E quando la corazza si rompe, ad attendere c’è l’ombra del dolore. Ma questo è solo l’inizio, l’incipit, o forse nemmeno quello. Forse è solo un momento, un passaggio in una storia complessa e articolata, una saga popolata da decine di persone, ognuna attratta da un desiderio, da una speranza. Ognuna nel proprio labirinto. Sto cominciando il quarto volume, un volume delicato, emotivo, profondo e mistico. Il momento magico, come lo chiamo. La sua struttura è complessa, molto articolata e veloce. Cinematografica: so già che sarà un aggettivo che mi verrà spesso attribuito. Ed è giusto, in fondo vengo da lì. Trovo piacere nel provare a creare, nella mente, nel cuore e nell’anima di chi mi legge, un «film» fatto non solo di immagini, ma di pensieri, di filosofia e soprattutto di umanità. Non vedo l’ora di condividere con voi altro di questa opera. Per dirvi quanto mi piace scrivere, sto già pensando alla prossima. Ho già il titolo, ho già la storia. Devo solo trovare il tempo. Quel tempo che sembra non bastare mai. Forse perché mi sono imposto di non correre, di procedere passo dopo passo, nel migliore dei modi, dando il tempo alle idee di nascere, maturare, dare frutti, e scrivere sulle spalle di generazioni di intuizioni. Non una, ma cento, mille. E poi liberarmi dei fardelli, di quelle che «sono belle, ma non servono». Una danza continua di parole, matematiche, emotive, estetiche, spirituali. Come dico spesso, scrivo per curarmi. E di rimando, curo il protagonista. E di rimando, chi mi legge cura quella parte dell’anima che condivide con entrambi. Alla prossima pagina.
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1 week ago
5 minutes 25 seconds

Diario D'artista
Parto per la tangente
Mi capita spesso di partire per la tangente, e devo dire che non so se sia il mio più grande difetto o una qualità intrinseca del mio processo. Sono un ossessivo compulsivo, non mi fermo finché non sono soddisfatto totalmente, oppure talmente esausto che è il mio corpo a impormi la pace. In queste ultime settimane, per esempio, mi sono addentrato in un territorio a me consono, ma che non frequentavo dai tempi dell’università. Sto sviluppando un app che mi aiuterà in questa impresa editoriale. Per app intendo strumenti che mi permettono, in poco tempo, di fare analisi dei numeri, oppure servire a voi che mi leggete per trovare il volume giusto della saga giusta, o ancora farvi una domanda che mi aiuta a capire a che punto siete con la lettura (questo piccolo intermezzo che arriva a fine articolo). Visto che negli ultimi anni mi sono dedicato anima e corpo non solo alla recitazione e alla scrittura, ma anche al marketing, ho deciso che era venuto il tempo di fare le cose sul serio, e di creare una mia suite di strumenti per «facilitarmi» il lavoro. Mi viene da ridere, perché se forse è vero (forse) che mi faciliteranno il lavoro, è certo che ad oggi mi stanno consumando vivo. Sono almeno due settimane che passo ogni ora del giorno e della notte libera a raffinare, togliere e mettere cose che mi servono. Da vero ossessivo compulsivo non riesco a resistere alla chiamata di introdurre una nuova cosa, sempre sperando che questa non si riveli un altro labirinto nel quale mi infilo e che mi richiederà dieci volte il tempo pensato. E, puntualmente, è esattamente questo che mi aspetta. Ma ora che ho immaginato cosa voglio, che ho salivato all’idea di avere questa nuova possibilità, come posso rinunciarvi? Impossibile. E quindi la mia personale scalata all’Everest prende un bivio ancora più rischioso, una diramazione che allunga di nuovo il viaggio. E poi un’altra. E un’altra ancora. Per fortuna tengo bene a mente perché lo sto facendo. Credo che il «perché» sia l’unica domanda salvifica per l’artista. Lo costringe a una frontiera, a un limite che si allinea con la sua anima. «Perché?» «Perché scrivo? Perché recito? Perché?» Perché mi piace comunicare, mi piace emozionare, mi piace vedere e sentire nell’altro un contatto che va oltre la molecola. Qualcosa che si muove nell’etere, nello spazio vuoto tra gli atomi. L’arte. È per questo che lo faccio. Per esistere e coesistere nel presente con la recitazione e anche altrove, in voi che mi leggete. Ho accumulato un ritardo di parecchie settimane sulla mia scaletta da scrittore. Dovrei già essere in mezzo alla scrittura del quarto volume del Labirinto della Speranza, ma non ho ancora consegnato il terzo ai beta reader. In compenso, ho già la scaletta, quindi oso sperare che, arrivato al quarto volume, i personaggi siano ora più a fuoco e mi richiedano meno fatica. È bella, questa fase. C’è da dire che in questa saga ho usato molto meccanismi narrativi moderni (il flashback, per esempio), che hanno la qualità di permettermi di scoprire il passato dei personaggi e capirne meglio il presente. E ovviamente, per rendermi la vita facile (come avete capito, è la mia specialità :D), ho deciso che nell’ultimo volume avrò due linee temporali, e il flashback sarà incentrato (per la prima volta) sul protagonista. Cosa significa? Che il mio protagonista lo scoprirò davvero, sia nel passato che nel presente, a saga conclusa. La seconda stesura sarà uno spasso.
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2 weeks ago
3 minutes 47 seconds

Diario D'artista
Poco ma buono
Ho smesso di postare sui social. Chi mi segue lo avrà notato: mi sono fatto silenzioso, invisibile. Posto alcune stories, di tanto in tanto, in cui condivido momenti speciali, il set, la famiglia, la vita. C’è un motivo dietro a tutto questo, e penso che il diario sia il luogo perfetto per spiegarlo. A un certo punto, nella vita, bisogna fare delle scelte. Non si può fare tutto. Il nostro tempo sulla terra è limitato, e i desideri che ci animano invece no. (Come diceva Einstein, ci sono due cose infinite: l’universo e la stupidità umana. Non sono certo della prima.) Insomma, io ho la tendenza a voler fare un po’ di tutto. A essere presente sui social e anche a scrivere un blog, che è un podcast con contenuti profondi. Ma postare quotidianamente sui social è estenuante, e soprattutto, non valorizza. La continua esposizione non è per forza un esempio positivo. Per mille motivi: il primo è che, a un certo punto, non hai più niente da dire. O dici la stessa cosa in varie salse. O dici qualcosa che hanno già detto. O qualcosa che non aveva bisogno di essere detto. E visto che cerco, qui, in questo nostro giardino privato, di aprire il cuore e l’anima, di mostrarmi per chi sono, con la mia voce, e fare in modo che il mio messaggio sia, per chi mi legge, un conforto, un momento di fuga, un momento anche di riflessione, ho capito che il social network non fa per me. In realtà già lo sapevo. Io sono uno di quelli che alle feste se ne sta con la schiena contro il muro, nell’ombra, ad aspettare di poter parlare di qualcosa di interessante con una persona. Sono timido, schivo e taciturno. I social non sono il mio ambiente. La scrittura invece sì. Per legarmi al titolo dell’articolo: amo il segnale, non il rumore. Per segnale intendo il contenuto sottostante la forma. L’arte. Il pensiero, il motivo. Il rumore invece è quello che si fa quando non si ha nulla da dire, ma si sente il bisogno di farlo per avere l’illusione di esistere. E credo che sia una delle piaghe di questa sovrabbondanza di esposizione. Ci esaurisce. Sia chi ascolta che chi scrive. Quante volte ci ritroviamo sui social ad ascoltare le solite cose, che piano piano ci spengono invece di accenderci. Certo, a volte si trova la perla, ed è per questo che ci torniamo. Ma la maggior parte delle volte mi annoio. Allora ho scelto. Meglio poco ma buono. Ho l’età giusta. E soprattutto l’esposizione l’ho già vissuta come attore. È un discorso che facevo con Paola, (che mi legge il lunedì mattina, sul treno, con un caffè). Allora mi dico che, in questo futuro che mischia scrittura e recitazione, la relazione perfetta tra me e voi sia proprio questa: il testo, la voce. Chi mi scrive sui social sa che rispondo spesso. Un po’ perché sono spesso al computer, un po’ perché la scrittura è un mezzo per me naturale. E infine perché adoro comunicare con chi mi segue. Che strano… per uno che ha fatto della voce il suo lavoro, amare così tanto il silenzio. Ma chi recita lo sa. È dal silenzio che nasce tutto. Spero che questa ambivalenza continui ad arricchirmi, ad arricchirvi e a darmi la spinta di andare avanti.
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3 weeks ago
3 minutes 39 seconds

Diario D'artista
Senza il blu
Ai tempi di Omero, non esisteva la parola “blu”. Quella che può sembrare un aneddoto privo di reale interesse, invece, mi ha aperto una porta creativa. Immaginate di dover raccontare la storia di un uomo. L’uomo più intelligente di tutti, colui che non usa la forza degli eroi, colui che non è figlio di un dio. Un uomo che, con le sue sole forze limitate e il suo ingegno, è capace di superare ciclopi, maghi e animali mitologici. Ulisse ha viaggiato per il Mediterraneo per anni, affrontando mille peripezie. E mai una volta, nell’Odissea, viene menzionato il colore “blu”. Provate a immaginare di raccontare una storia che si svolge in mare e non menzionare mai il suo colore. L’Odissea è questo. E lo trovo un esempio formidabile di come i limiti alla nostra creatività siano imposti da noi stessi. Se Omero è stato capace di raccontare una storia evitando il suo colore dominante, e non una storia qualsiasi, ma la storia che dà inizio all’umanità che vede se stessa come centrale nel mondo, allora ogni limite, paura o dubbio che possiamo avere sulla nostra creazione è artificiale. Ma superabile. Può capitare di rimanere bloccati dentro un meccanismo, vuoi per volontà — cioè non siamo disposti a mollare un’idea e forziamo la realtà per farla funzionare — vuoi per richieste esterne. Per esempio, la volte mi pongo domande sull'opera che esulano dall’estetica o dalla tecnica, ma si focalizzano sull’aspetto del mercato o della fattibilità. Tutti abbiamo paletti e limiti, voluti o imposti. Il fatto che siamo consapevoli di questi limiti influenza la nostra capacità di superarli. Omero non aveva la parola “blu” e questo non gli ha impedito di scrivere la storia di mare più bella di tutte. Questo significa che qualsiasi limite vi siate imposti, qualsiasi ostacolo creativo vi troviate ad affrontare, può essere superato semplicemente dimenticandone l’esistenza. C’è un momento in “The Matrix” in cui un ragazzino piega un cucchiaio con il pensiero. Come fa? Dimentica che è un cucchiaio. Il primo ostacolo da superare siamo noi. Certo... esistono ostacoli tangibili, troppo reali per essere ignorati, e questo ci richiede di continuare il nostro percorso di crescita per poterci voltare verso questi ostacoli come il gigante verso la formica. Ricordo che da bambino certe cose mi sembravano insormontabili, ora non le prendo nemmeno in considerazione. Ma altre lo sono ancora: il timore di parlare a qualcuno, di chiedere quello che mi spetta, di farmi valere. Faccio fatica a farmi valere. Spesso lascio a Eleonora l’onere di andare a “rompere” — che poi è solo chiedere ciò che spetta. Sono fatto così, mi vergogno. Ho il difetto di farmi andare bene le cose, anche quando non dovrebbero essere così. Forse è una forma di pigrizia: mi faccio andare bene le cose per non dover affrontare quel momento in cui rischio di sembrare antipatico. Ma non c’è antipatia nel chiedere ciò che è dovuto, no? Faccio ancora fatica, a 45 anni, ad accettarlo. Come posso associare il “non blu” della Grecia antica a questo pensiero? Forse quel desiderio di essere simpatico a tutti i costi è un limite che mi sono imposto. Per superarlo, dovrei trovare il piacere di farmi valere. Un po’ negli anni sono migliorato, ma ho tanta strada da fare e poco tempo. Sto concludendo la prima stesura del terzo volume de Il Labirinto della Speranza, ma sono indeciso sulle copertine, sull’approccio… più concettuale o più pittorico? Ancora non lo so. Oscillo tra caldo e freddo, tra forma e sostanza. Nel chiudere il terzo, immagino già il quarto (era già stata stesa una prima stesura, ma è stata completamente trasformata dall'evoluzione dei personaggi). Più mi avvicino alla fine, più si fa chiaro il cuore della verità, il grande segreto che ho trovato sepolto al centro del labirinto. Dopo di esso, i miei personaggi non saranno mai più gli stessi, e questo preparerà il terreno per l’ultimo volume: l’ineluttabile scontro finale.
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1 month ago
4 minutes 28 seconds

Diario D'artista
Dalla bozza alla prima stesura
Oggi voglio condividere con voi il mio processo di scrittura. Come sapete, scrivo saghe. Pentalogie. Cinque volumi, ognuno dei quali rappresenta un atto della mia grande storia. Questo richiede un profondo ed elaborato lavoro di strutturazione: atto per atto, capitolo per capitolo, scena per scena. Oggi però voglio mostrarvi il processo che porta dalla bozza «vomito» di una scena alla prima stesura. Quindi la pagina scritta seguendo le indicazioni della scena. Una specie di «Prima e Dopo», come nelle pubblicità dei prodotti dimagranti. Ho scelto, per l’occasione, una scena descrittiva. Esse sono, per quanto mi riguarda, le più difficili, perché rischiano di essere prolisse e noiose. Il segreto? Dare una personalità a ciò che descrivo e far vivere la sensazione del protagonista al lettore. Come sempre, l’immedesimazione è centrale. Vi mostrerò un estratto della bozza e poi della prima stesura. PS: La prima stesura non è definitiva. Sarà seguita, a fine saga, dalla seconda stesura. E poi, infine, il tutto passerà all’editing esterno di Antonella Cavuoto, che mi ha seguito nell’Anello di Saturno. BOZZA: Erik spinge la porta, che cigola su cardini ossidati. La cucina del castello è immersa in una penombra polverosa. Al centro troneggia un enorme camino annerito, abbastanza grande da arrostire un cervo intero. Pentole e padelle di rame, opache e incrostate, pendono da ganci arrugginiti, come trofei abbandonati. Il pavimento è cosparso di cenere secca e detriti, le mattonelle spaccate dal tempo. Sul tavolo di pietra, un coltello arrugginito giace accanto a una vecchia zuppiera incrinata. Ragnatele spesse come veli pendono dagli angoli del soffitto e si allungano sui mobili. L’odore è una commistione di muffa, legno marcio e legno affumicato. Da lontano, sente gli scricchiolii del legno gonfio di umidità, che sembra spingere sulle pareti di roccia pesante. «Nessuno cucina qui da secoli.», pensa, adocchiando la porta d’ingresso. La supera, infilandosi in un piccolo corridoio stretto e soffocante, e finalmente fuoriesce davanti all’ingresso maestoso. PRIMA STESURA: Erik spinge la porta, che cigola sui cardini ossidati. La cucina del castello è immersa in una penombra polverosa, densa come neve. Al centro troneggia un enorme camino annerito, grande abbastanza da arrostire un cervo intero. Ora giace spento, dimenticato come la selvaggina che nei secoli vi è stata divorata. Sui muri, pentole e padelle di rame, opache e incrostate, pendono da ganci arrugginiti come trofei abbandonati. Il pavimento è cosparso di cenere secca, schegge di legno e detriti. Le mattonelle, spezzate dal tempo, sostengono un tavolo di pietra: sopra, un coltello arrugginito giace accanto a una vecchia zuppiera incrinata, come un cimelio dimenticato in un altare domestico. Dalla finestra filtrano nubi scure. In controluce, ragnatele spesse come veli si tendono tra gli infissi. L’odore è un intreccio acre di muffa, legno marcio e fumo spento. Ascolta. Scricchiolii sommessi. Forse il legno gonfio d’umidità, forse presenze invisibili che ancora abitano il luogo. «Nessuno cucina qui da secoli», pensa, fissando la porta che conduce altrove. La attraversa, infilandosi in un corridoio stretto e soffocante. Le mura spesse sembrano stringersi su di lui, come se il castello volesse strangolarlo. Cammina a lungo, finché non emerge nell’ingresso principale: un luogo maestoso, congelato nel tempo. -- Come potete notare, sono passato da una dimensione documentativa e meramente descrittiva, a una dimensione più consona al genere della saga, thriller psicologico. Quindi più simbolica e sensoriale. Le penombre rafforzano l’immaginazione di chi legge e i dettagli non sono solo «fotografia», ma «atmosfera». Sono curioso di sapere cosa ne pensate, quindi vi aspetto nei commenti.
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1 month ago
4 minutes 43 seconds

Diario D'artista
Il mare
Il mare, oscuro, luminoso. Tetro di notte, silenzioso e profondo come un abisso. Traditore, ammaliante. Il mare che sto vedendo ora Fa mostra della sua potenza con tranquillità. Onde dalla schiuma bianca, non troppo alte, il giusto perché i bambini possano prenderle, arrotolarsi, mangiare sabbia e sorridere allo sforzo. Era tra le cose che più mi piacevano, da giovane, a Tellaro. Prendere le onde. Tornare a casa la sera con la pelle graffiata dalla roccia, esausto, i capelli secchi di sale. I giorni di mare alto erano quelli in cui ti svegliavi, sentivi gli amici e ti organizzavi per andare a prendere le onde. Poi, nel pomeriggio uggioso, dopo poche gocce di pioggia calde, tra fiatoni e risate, un gelato. Il Cucciolone, con le sue barzellette che non facevano ridere. Così ho scoperto il Cinquestelle. Un Cornetto al croccantino che, lo ammetto, ancora adoro. Il mare, oggi, sulla spiaggia di Fregene ospita surfisti che aspettano onde troppo minute per le loro intenzioni. Il vento, dolce, riscaldato da un sole che sembra nascondersi dietro quel fresco solo per arrossarmi la pelle, è forte di un’energia salina e sahariana al contempo. Le nuvole. Illusione di forma e movimento. Immobili se le fissi, cangianti se cambi lo sguardo e torni da loro dopo un attimo. Sono altre. Come gli uomini. Spesso ci rendiamo conto delle differenze - del tempo e dell’età - solo quando lo spazio che ci distanzia da coloro che ci circondano aumenta. Poi torniamo, e ci rendiamo conto di un neo, di una ruga, di una nuova parola, di un altro pensiero. Siamo come le nuvole. Fatti d’acqua di mare, ma privati della costanza immortale dell’oceano, perso a far l’amore con la terra. A volte dolce, a volte violento. Una relazione che regge al tempo, la loro. I Greci, nei miti di origine, avevano Urano e Gaia: il sole, il cielo, la terra, il mare. Essi sono i motori della nostra esistenza. Decidono del vento, delle piogge, del nostro umore e desideri. Cerco tra le nuvole una forma che richiami qualcosa. Un effetto che si chiama «pareidolia». Ma non vedo nulla. Sono più attratto dalla pagina, dalle parole, dal desiderio di scavare attraverso il flusso, e trovare una pepita di pensiero, una nuova piuma da mettere al cappello. Eccola! Un volto di profilo. La bocca aperta, un naso. Ecco che ora mi sono evidenti i movimenti delle nuvole attorno. Perché vorrei che non cambiassero, ora che le ho fissate in qualcosa che riconosco. Ora che tutto ha finalmente un senso. Ma il naso, sparisce. La bocca si è chiusa. La nuvola è tornata nuvola. Non importa, ne troverò un’altra.
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1 month ago
3 minutes 22 seconds

Diario D'artista
Il paradiso degli attori
Fare l’attore… cosa vuol dire? Che strano mestiere, no? Faccio finta di professione. Sono un esperto manipolatore dell’emozione oppure un sincero espositore della mia intimità? Come diceva così bene Gassman: «L’attore è una via di mezzo tra un sacerdote e una puttana.» Quando lo dissi a Greenaway, in uno dei nostri viaggi promozionali per il suo film in Italia, la citazione gli piacque molto. Scoppiò addirittura a ridere, quasi cedendo il suo aplomb inglese. Ma c’è un fondo di verità in questa boutade. L’attore dona il proprio corpo, come una meretrice, al prossimo personaggio, alla scena, al pubblico. Esegue un atto, usando come mezzo il proprio corpo. A volte d’amore, a volte d’odio, a volte di semplice quotidianità. Ma è pur sempre un atto in cui doniamo noi stessi. Poi, la scena, la recitazione, il gesto, hanno una loro sacralità, qualcosa di profondamente umano, misterioso ed empatico. Qualcosa che ha a che fare con il rito, con la magia dell’arte. E quindi sì, la citazione è corretta. Ma recitare vuol dire anche tante altre cose. Oggi mi sono svegliato alle 06:20, per poter essere sul set alle 07:00, pronto per vestirmi, farmi truccare e pettinare. Che per un uomo è piuttosto veloce, ma essendo negli anni ’60, il mio nuovo baffo ha bisogno di essere sistemato e i miei capelli spesso tagliati quel poco che basta per mantenere una perfetta pulizia. Poi, dopo un caffè ed essermi vestito di tutto punto, mi preparo le scene della giornata. Le rileggo. A volte ripasso a memoria. Ma sono come quegli studenti che non studiano il giorno prima dell’esame. Mi piace prepararmi con largo anticipo. La memoria è un tassello fondamentale della recitazione. Essa deve essere come un muscolo: istintiva, priva di ogni passaggio razionale. La memoria non deve essere ricordata dalla mente, ma dal corpo. E così, con in testa tutte le scene del giorno (a volte possono anche essere 9 scene da 4 pagine l’una, quindi uno sforzo considerevole da un punto di vista mnemonico), parto per il set, per procedere all’atto della recitazione. Sul set, si salutano il regista, la segretaria di edizione (colei che verifica che tutto sia in continuità), poi la troupe, i tecnici. Un bicchiere d’acqua e via, si parte. A quel punto, non bisogna perdere la concentrazione. Io sono uno di quegli attori che, per non perderla, scherza. Mi piace far ridere, giocare, mantenere quella leggerezza bambinesca. Ma questo richiede di essersi ben preparati prima, e non tutti hanno lo stesso metodo. Quindi bisogna stare all’occhio e non disturbare troppo il proprio partner. Uno dei grandi segreti della recitazione, che poche scuole vi diranno, è che il talento di un attore si vede anche nella sua capacità di stabilire un’alchimia con gli altri attori con cui recita. Fondamentale. E così, una scena dopo l’altra, arriva la pausa. Io faccio il digiuno intermittente, a modo mio — in sostanza, non pranzo. Quindi, con la mia bottiglia d’acqua, mi metto in camerino e indovinate cosa faccio… scrivo :) Scrivo fino a che non viene qualcuno a bussare per dirmi che «sono pronti e mi aspettano». Il pomeriggio si svolge con la stessa energia, lo stesso entusiasmo. E poi, verso le 18, mi cambio, torno «l’uomo dal solito tempo» e vado a casa, dove mi aspettano spesso Eleonora ed Elettra. Cucino io, quindi quando arrivo «mi tocca». Ma in realtà è una buona occasione per stare con loro, per chiedere cosa vogliono, e renderle felici. E poi, dopo cena, mi ritaglio un altro paio d’ore per scrivere o occuparmi del sito, o del marketing — insomma, di tutte le imprese a lato che affronto, come sapete, con lo stesso entusiasmo della recitazione. Ecco, questa è una giornata nella vita di un attore. Una di quelle che lo colmano di gratitudine.
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1 month ago
4 minutes 16 seconds

Diario D'artista
Spoiler: Non aprite!
Da: «Il labirinto della speranza, vol.3» L’aria di Cles è umida. Nel cielo, tracce di nuvole grigie hanno cancellato il candore degli ultimi giorni. Sembra avvicinarsi una tempesta. Un vento freddo accompagna Erik mentre avanza sulla ghiaia del cimitero, due rose in mano. Chiude il cancello alle sue spalle, quasi a ritagliarsi un momento di assoluta solitudine. Fa un passo avanti. E guarda. Le tombe, le lapidi, le croci. I nomi. Sono tutti lì. «Chissà se stanno guardando.» Alza gli occhi al cielo. Poi scende a terra e si perde nel vuoto. «Alice…» Un crampo gli stringe l’addome. «Lea…» «Quanti anni avrebbe adesso? Sarebbe già grande… Sarebbe andata via.» le lacrime gli scendono senza che nemmeno se ne accorga. «Cosa fanno le ragazze di sedici anni al giorno d’oggi?» «Cosa fanno?» chiede con un filo di voce alla platea di anime che ascoltano in silenzio. Una lacrima scivola lungo la narice. Un’altra s’infila nell’angolo della bocca. Il naso cola; si asciuga sulla barba ispida. «Cosa fanno le ragazze di quindi anni al giorno d’oggi… Vorrei tanto saperlo.» Singhiozza. Non ci riesce ad andare avanti. Gli manca l’aria. Dovrebbe uscire, ma non vuole. Il suo posto è qui. Respira. Cerca un briciolo di forza per andare avanti. Si asciuga le lacrime. Sente di nuovo dolore. Una pressione nel petto. La testa gira, manca l’ossigeno. Si appoggia al muro. Aspetta. Fermo, immobile. Una tirata di naso. Le ultime lacrime vengono spazzate via dal polso. Rimane il sapore di sale tra i peli. «Dopo aver pianto si vede sempre meglio», pensa. «È come dopo la tempesta. Quando torna il sole, l’aria è cristallina, come un giorno nuovo.» Cammina verso la tomba di Alice e Lea. Posa due rose. Una rossa e una rosa. Una grande e una piccola. Si trattiene. Non riesce. La mano sulla fronte, chiude gli occhi, piega la nuca come a nascondersi dal dolore del mondo. Ma il dolore è dentro, e dentro non c’è via di fuga; è un labirinto chiuso, un cerchio senza uscita. «Hey.. ciao.» sussurra un pensiero che si fa voce. «Qui è un casino… immagino lo sappiate già, con tutta la gente che vi arriva dall’altra parte. È morto anche un amico. Chissà… non capisco perché qualcuno voglia togliersi la vita. Perché? SaiJanda sembrava così a suo agio qui. Sorrideva sempre. Sorrideva anche da morto. Forse è così che si fa: si sorride fino alla fine, e poi si resta felici per sempre.» «Dai, ciao. Ci si vede eh.» Aspetta il solito segno che non è mai arrivato. O forse, pensa, che non ha mai realmente cercato. Silenzio. Solo un pò di vento e nessuno. Erik sorride a se stesso. All’ingenuità. S’incammina di nuovo sulla ghiaia, ma quando afferra la maniglia di ferro del cancello un tuono lontano rompe l’aria. Erik lo guarda; nei suoi occhi, un lampo di speranza. Il telefono vibra. Un messaggio. «Ciao [Nome], da 3 mesi non ti vediamo in EnerGym 💪 Ti offriamo una lezione gratuita con un trainer per ripartire insieme! Prenota qui 👉» Erik cerca di riprendersi dall’assurdità del momento. Nella solitudine, fisso su quello schermo paradossale, osserva il messaggio della sua palestra milanese. Non ricordava nemmeno di essere abbonato. Sorride. Esce dal cimitero e ne approfitta per scrivere ad Aurora. «Tutto ok? Sto tornando.» Nessuna risposta. Erik stringe le chiavi della macchina, guarda l’ora, è ancora in tempo per portarla in stazione, pensa. Poi, un pensiero si libera. Un sentore nuovo, Un dispiacere sottile per la partenza della ragazza. Un desiderio di rimanere, Di stare. Il testo è in primissima stesura, potrebbe sparire, cambiare, diventare una poesia in versi o una ricetta di cucina :) Ovviamente, se vi è piaciuto, sentitevi libere e liberi di condividerlo. Magari conoscete lettori impazienti di masticare un po di parole.
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2 months ago
5 minutes 28 seconds

Diario D'artista
Felice, ma insoddisfatto
Oggi, girovagando tra le pagine dei miei libri, ho letto questa frase: «Morirai senza aver raggiunto il tuo ultimo obiettivo.» All'inizio ho pensato «Ma anche no!» Ma poi, soffermandomi un istante, mi sono reso conto che è così, perché so che continuerò a inseguire quell’orizzonte lontano e, a ogni traguardo raggiunto, ne nascerà un altro, […]
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2 months ago
3 minutes 18 seconds

Diario D'artista
Vedere l'invisibile
La prima volta che andai al Lucca Comics fu per il film di Genovese «Supereroi».Non la conoscevo. Dovevo girare una scena nel Lucca Comics, una gigantesca fiera del fumetto, del manga e ora anche dei videogiochi: I posti dove si vedono gli otaku, Naruto, Ero Sennin, Dragon Ball. Insomma, era lì che giravo la scena. […]
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2 months ago
3 minutes 23 seconds

Diario D'artista
Scintilla di cristallo
Non fatevi intimidire. Un’idea, quando nasce, ha bisogno di essere difesa. Non si nasce sbagliati: al massimo lo si diventa. È lo stesso per le idee: hanno bisogno di cure, di essere alimentate, come un essere vivente. Le idee poi ci imitano. Come ci comportiamo, così si comportano loro. Le idee siamo noi. La maggior […]
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2 months ago
3 minutes 24 seconds

Diario D'artista
La mia Jingle Bells
Ho appena letto la storia dell’uomo che ha scritto Jingle Bells: James Lord Pierpont, classe 1822. Prima di tutto, ho scoperto che il brano non nasce come una canzone di Natale. Ma tutt’altro. (E già lì, avrei dovuto capire che c’era qualcosa da scoprire, in quella storia.) Quella che è una delle canzoni più famose […]
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3 months ago
2 minutes 54 seconds

Diario D'artista
Siamo esseri multidimensionali
Il mondo, la realtà, sono dei misteri che mai si sveleranno. Come il velo di Maya: dietro al velo non vi è la verità, bensì un altro velo da svelare.La realtà, questa realtà, è determinata dai nostri sensi. Ma i sensi, ci limitano. Per fortuna c’è l’immaginazione.La creatività è la nostra chiave di trascendenza. Con […]
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3 months ago
3 minutes 46 seconds

Diario D'artista
Quando muore l'arte
Sapete cosa dicevano gli amanuensi e i copisti quando l’invenzione di Gutenberg (la stampa) arrivò a sconquassare l’industria dei libri scritti a mano? «Scriptores pereunt, ars moritur.» I copisti scompaiono, l’arte muore. Molti ritenevano che i libri stampati fossero oggetti meccanici, privi di anima o di bellezza. Filippo di Strata, ad esempio, scriveva nel XV […]
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3 months ago
5 minutes 43 seconds

Diario D'artista
La crisi interiore
La crisi arriva per tutti. Come un appuntamento con noi stessi, arriva la ferita che non si rimargina, che ad ogni ciclo ci ricorda che abbiamo un conto in sospeso con noi stessi. Ormai la sento, la riconosco, la vedo arrivare da lontano, eppure ancora mi coglie. Mi coglie nelle parti più basse, più fragili […]
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4 months ago
4 minutes 2 seconds

Diario D'artista
Oggi non ho scritto
Oggi mi sono svegliato sul divano. Ero così stanco, ieri, che non ho retto al film sul grande televisore del salone. Ho sentito soltanto, verso notte inoltrata, una dolce coperta avvolgermi e una voce sussurrarmi la buonanotte con un bacio. Mi sono svegliato verso le sette del mattino, la giornata era bella, già soleggiata di […]
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4 months ago
2 minutes 57 seconds

Diario D'artista
La scrittura erotica
Nella prossima saga, affronterò molti lati oscuri della nostra realtà. Come mi piace pensare, se L’Anello di Saturno è il sole, Il Labirinto della Speranza sarà la luna. Esoterismo, thriller psicologico, manipolazione, sette e anche erotismo. Una faccenda a dir poco delicata! Non ho paura di affrontare questo lato della scrittura e della narrazione, anzi. Mi piace, mi diverte e, soprattutto, […]
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4 months ago
3 minutes 51 seconds

Diario D'artista
La parte più difficile
Qual è la parte più difficile di fare l’artista? Di fare il regista, l’attore, lo scrittore? Io penso che potrei aprire una sezione del Diario d’artista dedicata solo a questa frase: «La parte più difficile.» È difficile dare una risposta, perché affrontare questa domanda significa affrontare le nostre debolezze, i nostri pregiudizi. A volte nascondiamo […]
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4 months ago
4 minutes 27 seconds

Diario D'artista
La fatica dell'impresa
Oggi attraverso un momento di oscurità, sono stremato dalle mie avventure. L’idea di scrivere un’altra saga mi pesa più degli altri giorni. Capita, lo so, fa parte del gioco. Gli americani lo chiamano “il grind”, quella cosa per cui ogni giorno, un sassolino dopo l’altro, si costruisce il grattacielo. Con sudore, fatica e forza di volontà. Lo diceva […]
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5 months ago
4 minutes 52 seconds

Diario D'artista
Storie brevi, intime, dove racconto il mio viaggio nella scrittura, nella recitazione e nella vita d'artista.