25/03/2023. 600 gr. 27 + 5 settimane. Sono solo numeri. Appaiono quasi banali nella loro bellissima forma perfetta, aggraziata, come solo la matematica sa essere. Eppure, alle volte, sono sufficienti a firmare un preavviso di condanna. Condanna nel vivere a metà, condanna nel morire, condanna nel lottare per la vita. Una condanna che nessuno, in quel momento, può prevedere.
Ero in turno di notte e la voglia di andare a tirocinio non era molta; era luglio di una giornata particolarmente afosa e avevo usato tutto il mio tempo studiando per un esame che avrei avuto di lì a pochi giorni.
Il viaggio di andata è la cosa che preferisco, alle 20.30 c’è ancora luce e percorro la strada in macchina con i finestrini abbassati e la musica in sottofondo. Nonostante il sole sta tramontando, la giornata per me non è ancora finita e la lunga notte che mi aspetta ha ancora molto da regalarmi.
“Qualsiasi cosa fai, tanto non va mai bene”, la sintesi perfetta di una vita passata al servizio degli altri. Mah, questo concetto non lo definirei propriamente mio, lo deduco da quella che sembra una serena rassegnazione nella pacata espressione di Dalia. In senso generale, però, come dar torto a queste parole: ogni scelta è una presa di posizione, persino le scelte non prese lo sono.
È estate, ed è il mio primo figlio. Sono italiana, 35 anni, alta e mora, dal sud ma originaria di queste zone. Ho fatto un lungo viaggio per arrivare fino a qui, so che questo è un ospedale rinomato con un ottimo personale ostetrico.
Ho imparato che questo evento meraviglioso che è la nascita viene accompagnato dal personale della sala parto, ostetrici e ginecologi in primis, ma anche infermieri, operatori sociosanitari, neonatologi, pediatri, anestesisti, questo mi hanno detto al corso preparto. Tanta gente per un solo momento, ma tanti serviranno solo se qualcosa non va. Speriamo di non vederli allora.
Maggio, mattina. Apro gli occhi, disturbata dai tenui raggi di sole dell’alba, che spuntano tra le inferriate delle tapparelle e mi illuminano il viso. Il mio corpo stanco giace sul letto di quella camera spoglia, che era diventata il mio piccolo nascondiglio dal resto del mondo ormai da due giorni. Fisso il soffitto, sospiro, la mia testa intervalla momenti di vuoto a istanti un cui si fa groviglio di pensieri talmente stretto, da farmi quasi mancare l’aria.
Mi chiamo Chiara, ho trent’anni, lunghi capelli castani e occhi azzurri. Luca, il mio compagno, dice che sono luminosi come il cielo in una giornata di sole limpido, ma è da tempo che non riesco a credergli più, a me sembrano spenti come una città avvolta nella nebbia.
È mattina presto e abbiamo caricato l'auto bianca con le borse che contengono tutto il materiale necessario agli assistiti da visitare oggi. Il lavoro organizzativo dietro a queste borse è davvero enorme: dobbiamo avere con noi ciò che serve praticamente, ma anche tutto ciò che potrebbe servire.
Ci accompagna anche la consapevolezza che non sarà una giornata semplice.
Ci aspetta Enzo, il nostro primo paziente. Leggo la cartella tra una curva ed un semaforo rosso.
Il mio primo turno nell’U.O. di Ginecologia era di mattina e nel corridoio degli spogliatoi faceva freddo come se fossi al Polo Nord. Il brivido di freddo me lo sono tenuta fino all’entrata in Unità Operativa e, durante il passaggio di consegne, tremavo ancora.
Fu durante il primo giro della terapia, dove si conoscono veramente i pazienti scritti sul tabellone in guardiola, che la conobbi e il tremore sparì.
La giornata era iniziata come tante altre, il turno era cominciato da poco e, mentre mi scrollavo di dosso le ultime briciole di sonno, stavo andando di stanza in stanza facendo la terapia con la mia guida di tirocinio quando, entrata nella stanza 6 vengo accolta da questo saluto. Mi guardai intorno cercando di capire chi fosse stato ad assegnarmi questo appellativo particolare.
Che rumore sentite quando pensate a un ospedale? Prima di entrare in una corsia come tirocinante, ero solita associare il silenzio ai luoghi di cura. Non saprei spiegarne il motivo: li ho sempre considerati posti sospesi, nei quali il tempo rallenta, si dilata e con esso anche il suono svanisce. Era come se il vociare del mondo si spegnesse, non riuscisse a penetrare quella bolla, perdendo consistenza. La voce si riduceva a un lieve bisbiglio. La divisione era netta, dunque: da una parte la realtà abitata dei sani, con la confusione e i colori della vita, e dall’altra il limbo dei malati, nel quale sono ammessi solo sussurri.
“Ma non siamo tutti umani?”
22 maggio 2023: primo turno in Terapia Intensiva della Neurochirurgia a Treviso.
Inizio previsto ore 07:00: devo svegliarmi presto.
Ore 05:25: suona la sveglia, faccio colazione e mi vesto.
Ore 06:05: sono già in macchina - non posso arrivare in ritardo proprio al primo giorno.
Ore 06:45: entro in reparto, pronto per ricevere consegne. Ho tante aspettative, l’area critica mi è sempre interessata. In questo reparto il rapporto infermiere-paziente è di 1 a 2, quindi devo ascoltare bene, perché la complessità assistenziale è davvero alta.
Ci sono incontri nella vita di ciascuno che sono scritti da destini indissolubili. Sono momenti in cui l’anima non può fuggire, in cui il proprio sguardo deve posarsi su quello di qualcun altro
Questo episodio è stato realizzato in collaborazione con Ulss 2 Marca Trevigiana nell’ambito di un progetto nato per dare forma e voce alle esperienze di vita degli studenti universitari dei corsi di laurea delle professioni sanitarie.
Ogni primo giorno di tirocinio è diverso, ma la preoccupazione iniziale è la stessa: sarò in grado di ascoltare i miei pazienti e capire come aiutarli? Mi troverò bene con il mio tutor? Riuscirò a mettere in pratica ciò che ho imparato?
Era la mia seconda esperienza di tirocinio ma la prima volta in casa di riposo. Al primo anno di infermieristica è previsto un tirocinio in ospedale e uno in RSA e onestamente ero felice che la mia prima esperienza fosse stata in ospedale perché nutrivo un forte pregiudizio nei confronti delle strutture per anziani e volevo tardare il più possibile l’inevitabile.
Questo episodio è stato realizzato in collaborazione con Ulss 2 Marca Trevigiana nell’ambito di un progetto nato per dare forma e voce alle esperienze di vita degli studenti universitari dei corsi di laurea delle professioni sanitarie.
Tra un paziente e l’altro scorro le loro schede per farmi un’idea di chi sarà la prossima persona a entrare nell’ambulatorio.
Questo episodio è stato realizzato in collaborazione con Ulss 2 Marca Trevigiana nell’ambito di un progetto nato per dare forma e voce alle esperienze di vita degli studenti universitari dei corsi di laurea delle professioni sanitarie.
Siamo pronti, dalla prossima settimana riparte Scorci di cura. Il podcast, prodotto da Nurse24.it, pensato per raccontare momenti di vita, istanti, pensieri ed emozioni accaduti in ambienti di cura attraverso le parole di chi le ha vissute veramente.
Sono un po’ preoccupato, perché la situazione a casa è sempre peggio, non ne parlo spesso, ma con Rossella mi sento libero di farlo. Suono al citofono, ma ad aprire la porta non c’è lei, ma una ragazza che si presenta immediatamente dicendomi di essere una studentessa di infermieristica. “Rossella non c’è?” Chiedo immediatamente. E lei, facendomi entrare, mi risponde che arriva subito. “Meno male”, penso.
Oggi è il 4 settembre, il mio primissimo giorno in reparto. Inutile dire che sono particolarmente tesa, per fortuna l’accoglienza che ho ricevuto dal personale in reparto mi ha tranquillizzata.
La Coordinatrice infermieristica, Clara, molto presente nelle attività di reparto, ad eccezione di altre realtà che ho potuto osservare nei precedenti tirocini, mi permette di assistere ad una procedura che lei è solita svolgere per i suoi pazienti: la doccia. Entriamo nel bagno, gli OSS portano in barella un paziente affetto da sindrome di Guillain Barré, per la quale è completamente dipendente nelle attività di vita quotidiana.
Ogni mattina, quando entro in camera per somministrarle la terapia, la signora Tiziana mi ripete che non ce la fa più, che è stanca e io cerco sempre di rassicurarla e darle forza. Quando le controllo i parametri vitali, ogni quattro ore, e le riferisco che vanno bene, mi sembra essere indifferente, forse perché la sua situazione non cambia.
È una mattina di fine turno, sono esausta. È stata una mattinata abbastanza intensa, c’erano molte cose da fare e non ci siamo fermati un momento. Io e l’infermiera di turno siamo andate nella stanza 306.
Sono Adele e mi sto dirigendo in macchina con mio marito Francesco verso l’ospedale, perché domani dovrò essere operata per rimuovere un tumore che mi ha colpito all’intestino. Alle 11:00 arriviamo a destinazione e con molta preoccupazione per ciò che mi aspetterà, saluto mio marito e mi avvio verso il reparto di urologia al 4° piano.