
Oggi parleremo di acqua.
In particolare della piscina come elemento di architettura e paesaggio, come parte viva del giardino.
Non solo un segno estetico, ma una forma di equilibrio,
dove si riflette la casa, la luce e il tempo. C’è un momento, in ogni giardino, in cui l’acqua smette di essere un semplice elemento naturale… e diventa architettura. Non parlo di una piscina come status symbol, ma di un’architettura liquida — uno specchio che riflette il cielo, la casa, e il modo in cui vogliamo vivere lo spazio. Una piscina ben progettata non è un semplice oggetto. È parte del paesaggio vivoche respira. Negli anni Cinquanta, la piscina ha cambiato pelle.
Non più soltanto un lusso, ma una parte integrante del giardino. Maestri come Pietro Porcinai, Thomas Church avevano già intuito che l’acqua poteva diventare parte del linguaggio architettonico. Porcinai, per esempio, progettò vasche che si fondevano con il prato, come se fossero nate insieme al paesaggio. Church scriveva: “Il progetto è una sola unità, che integra la casa e il giardino con il libero fluire di chi lo attraversa.” E aveva ragione.
Un giardino, una piscina, un’ombra, un percorso — tutto deve scorrere come una melodia. Quando la piscina non nasce come parte strutturale dell’edificio, il suo rapporto con gli spazi esterni diventa fondamentale.
Non basta scegliere i materiali giusti: serve uno studio di comunione visiva e funzionale tra casa, giardino e acqua.
La forma stessa della vasca — la sua direzione, la sua proporzione — definisce come il paesaggio verrà percepito.
Un rettangolo disposto lungo l’asse principale, ad esempio, guida lo sguardo e suggerisce un movimento, mentre una forma orizzontale o trasversale può creare una chiusura, un punto di sosta visiva.
Ogni piscina, qualunque sia la sua dimensione, dialoga con ciò che la circonda: con i percorsi che la collegano alla casa, con le alberature che la incorniciano, con le visuali che vanno protette o, talvolta, schermate.
In questo dialogo sta la vera progettazione paesaggistica: trovare l’equilibrio tra ciò che deve emergere e ciò che deve restare sottinteso.