Come i tempi sono cambiati!
Dove troveremo mai uve così primaticce, se non qualche dorata trasparente luglienga, e tini ribollenti dopo le cerimonie della pigiatura, fatta, a gara coi villici, coi piedi ben lavati e i pantaloni rimboccati, dai signori rifugiati in villa?
E dove sono ormai le stesse «smanie della villeggiatura» che, dopo il loro fiorire settecentesco, e i fasti goldoniani, sono continuate per tutto il secolo, fin quasi a ieri?
I preparativi, i debiti, le gelosie, le invidie, i discorsi dei servi, i giochi, le acque, i parassiti, le finte partenze, il decoro?
Quando il costume era quello solo dei nobili e dei ricchi, e gli altri, i minori borghesi, lo seguivano o imitavano, e il villeggiare riguardava nulla più che una classe sola, attorno a cui un popolo ignoto viveva oscuro nelle città senza stagioni (Giorgio Strehler ne prese forse lo spunto per una sua interpretazione del Goldoni, dove quella classe aristocratica si assomiglia, gonfiandosi e ingigantendosi le sue azioni, agli Dei del Walhalla, alla vigilia di una rivoluzione, che pare, nello sfondo, supposto, un crepuscolo wagneriano degli Dei).
Se VUOI puoi cliccare sul link che trovi qui sotto per ASCOLTARE tutti i podcast di «Roma fuggitiva» https://penisolabella.blogspot.com/2025/10/roma-fuggitiva-tra-1951-e-1963-di-carlo.html È una città eterna e «fuggitiva», nobilissima e plebea, sempre in bilico tra il cammeo e la patacca, quella raccontata da Carlo Levi in questi scritti, che «sembrano inseguire Roma, nel suo splendore fuggitivo, nelle mosse in cui la sua bellezza pare espandersi, aprirsi a un nuovo sviluppo civile». Sfila in queste pagine intense, scritte tra il 1951 e il 1963, una moltitudine di tipi e personaggi, veri ritratti parlanti e gesticolanti di un mondo popolare, di antichissima civiltà, governato dalla più flemmatica e scettica filosofia di vita e insieme dotato di sorprendente vitalità.
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