In questa eterna città di Roma, dove il popolo, come per un antico genio, è uso assistere al passaggio del tempo, senza illusioni, come a uno spettacolo che già si conosce, a un teatro di paladini, e vi partecipa soltanto come si partecipa a una rappresentazione teatrale, tutto pare volgersi anche le feste, il Capodanno, la Befana, San Giovanni, le partite Roma-Lazio, a contesa, rissa di strada, distruzione, ingiuria.
Più di ogni cosa si offende e si ingiuria il tempo, perché si sa bene che è eterno, e indifferente; la morte, perché tace, e chi è morto, non ha più posto nel teatro del mondo, ha il torto di non esistere, è un vuoto, ha disertato; gli arbitri delle partite, (non è, il tempo, l'arbitro di ogni cosa?); gli oggetti fuori uso, perché sono morti.«Bisogna sfascia’ tutto», dicono gli operai, chiamati per qualunque riparazione, con viso beatamente feroce.
Così, anche più di tutte le altre feste, il Capodanno è una battaglia.
Per chi è normalmente occupato ad ammazzare il tempo, questo è il momento eccitante in cui si può ammazzarlo veramente, con fragore e violenza.
L'anno finito, è morto, viene stanato, cacciato, insultato, perseguitato, torturato, virgola, ucciso.Gli oggetti vecchi, fracassati con barbara delizia.
Dall’alta terrazza dove mi trovo mentre l'orologio suona i dodici tocchi, vedo tutta Roma stendersi da ogni parte, nell'aria dolcissima: un cielo a pecorelle con uno spicchio di luna copre la distesa nera e violetta delle terrazze e delle cupole, i fuochi d'artificio, le urla, le sirene, i fischi, le grida, il rumore, gli spari, le castagnole, i tric-trac, i mortaretti, i «botti», le girandole, gli scoppi vicini e lontani, la grande battaglia che si accende da ogni parte, in ogni via, nella grande distesa notturna.
Luoghi narranti narrati o citati: Via di Santa Croce -
Piazza di SpagnaSe VUOI puoi cliccare sul link che trovi qui sotto per ASCOLTARE tutti i podcast di «Roma fuggitiva» https://penisolabella.blogspot.com/2025/10/roma-fuggitiva-tra-1951-e-1963-di-carlo.html È una città eterna e «fuggitiva», nobilissima e plebea, sempre in bilico tra il cammeo e la patacca, quella raccontata da Carlo Levi in questi scritti, che «sembrano inseguire Roma, nel suo splendore fuggitivo, nelle mosse in cui la sua bellezza pare espandersi, aprirsi a un nuovo sviluppo civile». Sfila in queste pagine intense, scritte tra il 1951 e il 1963, una moltitudine di tipi e personaggi, veri ritratti parlanti e gesticolanti di un mondo popolare, di antichissima civiltà, governato dalla più flemmatica e scettica filosofia di vita e insieme dotato di sorprendente vitalità.
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