
Secondo brano dell’album “La Buona Novella”, ne “L’infanzia di Maria” analizziamo la “prima” vittima del potere, in questo caso da intendere come potere religioso. Puntiamo i fari dell’attenzione sulla vita condotta da Anna e Gioacchino, genitori di Maria.
Una vita pura, spesa nel rispetto che si tramuta in timore del parere altrui. Una teoria che trova conferma nei versi “forse fu per bisogno o, peggio, per buon esempio, presero i tuoi tre anni e li portarono al tempio.”. Quel “buon esempio” tramandato come una legge non scritta.
E’ così che viene descritto il passaggio di Maria nel Tempio.
Un mondo esclusivamente maschile che accoglie i bisogni e le fragilità di una bambina. Un angelo, secondo De Andrè, la figura capace di riempire le ore di una Maria bambina, a misurarle il tempo fra “cibo e Signore”.
Sono le voci di cori che, a questo punto del brano, cantano del passare del tempo, del mutare delle stagioni dunque della vita, tranne per Maria, lei che “nel tempio resta china”.
La tirannia del tempo però non risparmia nessuno e così, pur vivendo una vita seguendo una linea passiva, Maria si trova a varcare il confine che la porta nel mondo dei grandi. I suoi dodici anni e le sue prime mestruazioni le aprono le porte dell’età adulta ma le chiudono in modo definitivo quelle del Tempio. Credendola una donna impura e, peggio, contaminata, i sacerdoti ne rifiutano la presenza.
Quello a cui si assiste è una sorta di asta pubblica per trovar marito a “chi non lo voleva”.
Vengono dunque riuniti tutti gli uomini del paese, scapoli ma anche vedovi, mentre “del corpo di una vergine si fa lotteria”.
Di nuovo i cori, ancora queste voci sovrapposte in modo disordinato che descrivono cosa vedono gli occhi puntati su Maria, ormai prossima a diventare moglie. Versi che sembrano essere quasi un implicito invito a guardare le varie parti del corpo della ragazza, ormai priva di una propria personalità.
La musica cambia, l’attenzione si sposta su Giuseppe. Il “destino sgarbato” ha scelto lui. Reduce del passato, falegname per forza, padre per professione.
La descrizione che ne fa De Andrè è breve ma unisce e riunisce tutti i punti che mostrano la personalità dell’uomo che è stato scelto. E’ in particolare il verso “una figlia di più senza alcuna ragione” quello che marca con inchiostro indelebile la differenza di età tra i due, pensando più facilmente ad una paternità piuttosto che ad un’unione coniugale.
La strofa succcessiva rafforza i sentimenti di Giuseppe, descrivendolo addirittura “stanco di essere stanco” ma comunque accanto a quel destino che qualcuno ha riservato per lui. Gli ultimi versi sono recitati, come il finale di una qualsiasi storia che si rispetti ma che non sempre incontra il finale che immaginiamo.
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L'AUTRICE / Lucia Lamboglia: https://instagram.com/lucia.lamboglia
LA NARRATRICE / Talìa Donato: https://www.instagram.com/taliadonato/
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Bibliografia: https://deand.re/to/#6hYcsFa