I cinque episodi del podcast sono riuniti in un unico racconto.
Ho scritto questo diario per raccontare la morte di mia madre.
Ho cercato di fermare il tempo e di ricordare le emozioni che per otto lunghi mesi hanno accompagnato l'agonia della mia famiglia.
Oggi sono qui, sul mio terrazzo, a scrivere queste cose su un telefonino, a te, che da un anno riposi in un vaso di cenere, sul comò della tua camera da letto, a mille chilometri da qui. Sto pensando, alla fine, di cancellare tutto, di eliminare questi inutili file di testo, perché non serve a niente scrivere “Della morte di mia madre”, non serve a nessuno, leggere queste pagine di dolore.
Sicuramente, anziché della morte, avrei dovuto utilizzare il mio tempo a scrivere “Della Vita di mia madre”, avrei dovuto parlare di tutte le cose belle che hai vissuto insieme a noi, mamma, di come ci hai cresciuti, di come ci hai viziati, di come hai sopportato il peso e le ingiustizie della vita… di come ti sei sacrificata per tutti noi.
Certo, sarebbe stato più facile, più comodo… e lo farò, ne sono sicuro.
Ma per farlo, dovevo prima riuscire a superare la tua morte.
E oggi, mamma, a un anno di distanza… purtroppo, non ce l’ho fatta. Non ho ancora superato la tua assenza.
La mamma ci ha aspettati prima di chiudere gli occhi per sempre.
Ora è libera.
Noi no
Noi no, noi non siamo liberi.
Siamo legati: le mani, i piedi, la testa, il cuore.
Papà ora non dovrà più fare quella strada, due volte al giorno per andare a trovarla, non dovrà più cercare il parcheggio all’ombra di quegli alberi magri, salire le scale di quella "bella" casa di riposo, quella struttura capace solo di accompagnare i suoi ospiti verso l'infinito.
Mai nessuno uscirà vivo da quelle stanze.
Come tutti noi, anche mio padre si era rassegnato.
A vederla lì, inerme e sofferente, da più di otto mesi, era stato uno strazio infinito per tutti. Dopo i primi periodi, avevamo sperato, pregato, cercato un gancio a cui aggrapparci per riavere indietro la nostra Anna.
I santi e le madonne non ci hanno mai ascoltato.
I medici non ci hanno consolati mai.
Ora dovremo avere a che fare con le agenzie funebri e la burocrazia del caso.
Lo facciamo. Lucidamente. Papà decide per la cremazione. Siamo tutti d'accordo...
La camera della mamma, in fondo a un lungo corridoio, è l’ultima a sinistra, al primo piano.
Per accedervi, bisogna prima districarsi in un labirinto di magazzini, cortili e scale.
Prima di giungere alla sua porta, si passa davanti alle stanze degli altri ospiti della struttura. Sono tutti pazienti allo stato semi-vegetale… più o meno nelle condizioni di mia madre.
Ce ne sono anche alcuni giovani, ridotti così da brutti incidenti. Nel corridoio si sente il vociare delle infermiere e degli operatori che spingono i carrelli con le lenzuola da cambiare. Camminando, si sente il rumore di un condizionatore d’aria difettoso e le chitarre elettriche di un televisore rimasto acceso su un canale musicale che non c’entra niente col contesto… e col paziente di quella camera, disteso, con gli occhi persi nel vuoto.
Le pareti interne delle varie stanze sono personalizzate con fotografie e oggetti che ricordano il passato dei malcapitati. In una camera c’è il palloncino della festa di compleanno di una donna, con la forma del numero 57, tutto dorato. In un’altra c’è il poster del Milan che alza la coppa dei campioni e una maglietta a righe rossonere. La dottoressa ci ha detto che l’altro giorno è venuto a trovarlo un calciatore famoso.
È l'inizio di un lungo calvario.
Incontriamo molti medici e tecnici che ci dicono, in modi diversi, la stessa verità: pressoché impossibile una ripresa cerebrale per mia madre, poiché l'emorragia è stata devastante.
Uno o due alla volta, entriamo in terapia intensiva.
Eccoci goffamente imbacuccati. I guanti in lattice sono sempre troppo stretti e le dita trasudano bolle liquide. La mascherina e la cuffia ci lasciano scoperti solo gli occhi, mentre cerchiamo di allacciare il camice, indossato sempre in modo sbagliato.
Così conciati, entriamo a vedere, finalmente, la nostra mamma. Se la situazione non fosse così drammatica, lei riderebbe, a vederci vestiti in modo così buffo. Ma purtroppo non siamo in un brutto film... e lei non è cosciente.
Ho scritto questo diario per raccontare la morte di mia madre. Ho cercato di fermare il tempo e di ricordare le emozioni che per otto lunghi mesi hanno accompagnato l'agonia della mia famiglia.