
Dalla mia riva, da quel che vedo prima di riprendere il largo, da ciò che accade prima che il distacco diventi realtà concreta e mi porti via dalle certezze che ho creduto di possedere.
“D'a a me riva” (D’ä mæ riva) è il prezzo che paga il marinaio nel suo peregrinare, è la malinconia che cresce man mano che la riva gioca a nascondino con le onde, fino a scomparire dietro l'orizzonte.
Siamo partiti con Crêuza de mä e ci siamo allontanati sfidando ogni onda del Mediterraneo riconoscendo, nell’incertezza della navigazione, la sicurezza di ritrovarci simili coi nostri simili: nell’ipocrisia, nell’amore, nella voglia di andare e nel desiderio di tornare. Ora siamo alla fine di questo viaggio.
L’ultimo brano dell’album è un’ode al distacco, una canzone carica di suggestione e malinconia. L’uomo saluta la sua donna, la sua certezza e l’immagine del “pensarti controsole” rafforza il concetto del distacco, del guardare da lontano. Lei guarda “più al largo del dolore” mentre appunto ci si sposta verso il largo.
Dice De André nello speciale Mixer del 1984: “[Della] compagna della vita resta al marinaio soltanto una fotografia di quando lei era ragazza, una fotografia sbiadita in fondo ad un berretto nero, per poter baciare ancora Genova sull'immagine di una bocca che io definisco in naftalina".
Nell’intera canzone la musica passa in secondo piano, lasciando spazio all’emozione di un testo che racconta la realtà sognata e quella vissuta.
Fabrizio De Andrè suonerà infatti una chitarra ottava: piccola e con un suono decisamente caratteristico, sullo sfondo di un mare calmo ma tuttavia presente.
Nel raccontare quest’eterno peregrinare dei marinai, c’è comunque un’altra chiave di lettura secondo la quale Fabrizio parla di se stesso. In questo caso la riva sarebbe quella della Sardegna mentre dall’altra parte fa capolino Genova. Il baule da marinaio cantato negli ultimi versi apparterrebbe a lui stesso, magari preparato dalla madre Luisa, della quale trova una foto in giovane età.
De André sa bene di chi parte e di chi torna e sulla canzone si esprime così: “Quando un navigante abbandona la banchina del porto della città in cui vive, arriva il momento del distacco dalla sicurezza, dalle certezze, sotto specie magari di una moglie custode, appunto, del talamo nuziale, agitante un fazzoletto chiaro e lacrimato dalla riva. Il distacco dal pezzetto di giardino, dall’albero di limone e, se il navigante parte da Genova, sicuramente dal vaso di basilico, piantato lì sul balcone a far venire appetito agli altri, a quelli che restano, ai disertori del mare.”
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Curato da Lucia Lamboglia e con la voce di Simona Atzori.
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