
Il tempo della città corre come un cavallo lanciato: banchetti, danze, mercati pieni di stoffe e spezie. Ma sotto la superficie del lusso, si avverte un cambiamento. Non è ancora rovina, è tensione sospesa.
Gli ambasciatori delle città vicine arrivano sorridenti, ma i loro occhi brillano di calcoli. I racconti degli stranieri parlano di Sibari come di un luogo miracoloso, e più la voce della sua ricchezza corre lontano, più cresce il rancore.
Nel frattempo, la natura diventa inquieta. Il Crati non canta più come un tempo: le sue acque scorrono lente, torbide, e portano con sé un presagio. I campi di grano ondeggiano non più soltanto al vento, ma come se fossero attraversati da un tremito antico. Gli uccelli migratori disegnano traiettorie confuse sopra le mura.
Is, nei racconti dei più anziani, appare ormai come un profeta dimenticato. Alcuni giurano di averlo visto camminare sulle rive al tramonto, con lo sguardo rivolto al mare, come in ascolto di una voce che non appartiene agli uomini.
E così, tra il fragore della festa e il silenzio dei presagi, Sibari vive il suo crepuscolo inconsapevole: un luogo che sembra eterno, eppure già segnato dal tempo che verrà.