
Nella nuova puntata di Cosa Bolle in Beuta, ci trasferiamo in Artico. La regione artica è infatti la più vulnerabile per quanto riguarda i cambiamenti climatici, riscaldandosi ad una velocità tra le 2 e 3 volte in più rispetto alla media globale.
Cominciamo questo appuntamento con un aggiornamento sullo stato di salute del ghiaccio marino che, a metà Settembre, ha raggiunto la sua minima estensione annuale. Un valore che, se confrontato con quello dell'anno scorso, risulta tutto sommato confortante, sebbene si inserisca in un trend di forte decrescita. I motivi, come spiegano i ricercatori, non sono tanto legati ad una inversione di tendenza, quanto piuttosto a condizioni meteorologiche particolari che hanno rallentato la velocità di ritiro del ghiaccio marino durante questa estate.
La nostra avventura polare ci porta poi in Groenlandia a scoprire come la fusione della calotta ha messo fino ad un'epoca di rilevazioni scientifiche in quello che era Swiss Camp, un campo remoto ideato dal Prof. Koni Steffen, completamente smantellato questa estate. Da luogo per studiare il clima, a luogo vittima del clima che cambia. Un'esperienza di ricerca dal triste epilogo, ma che ha dato molto alla comunità scientifica nel corso dei suoi 30 anni di storia.
Infine, dopo aver scandagliato gli oceani e i ghiacciai, ci occupiamo di permafrost. Uno studio pubblicato recentemente su Nature Climate Change, ha evidenziato i rischi ai quali gli ecosistemi artici sono esposti a causa della fusione del permafrost in virtù del possibile rilascio di virus, batteri, radionuclidi e, più in generale, di tutti quegli inquinanti che nel corso dei decenni si sono accumulati alle alte latitudini. Una possibile bomba ad orologeria? Si sa ancora troppo poco, ma i rischi associati allo scongelamento del permafrost e al rilascio di inquinanti e microorganismi potenzialmente patogeni potranno stressare ulteriormente un ecosistema già fragile e fortemente minacciato dall'aumento delle temperature medie globali.