Chiamo “cibo estremo” un cibo che rappresenti all’estremo la mia cultura o il mio territorio (ammesso siano cose diverse). Un cibo che, guarda caso, spesso è estremamente raro o estremamente proibito (se non dallo stato, dal sentire comune). Il contrario delle penne rigate e della tagliata, per intenderci e sbrigarci. Un podcast del Foglio con Camillo Langone
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Chiamo “cibo estremo” un cibo che rappresenti all’estremo la mia cultura o il mio territorio (ammesso siano cose diverse). Un cibo che, guarda caso, spesso è estremamente raro o estremamente proibito (se non dallo stato, dal sentire comune). Il contrario delle penne rigate e della tagliata, per intenderci e sbrigarci. Un podcast del Foglio con Camillo Langone
Gli gnumeriedde, involtini di frattaglie di agnello avvolti nei budellini del medesimo, sono cibo estremo e vernacolare. Hanno diversi nomi e grafie: turcinelli, mugliatielli, mazzarelle, abbuoti, mboti, marretti, mugnatielli, bruscatizzi, mazzacorde... Ci si potrebbe scrivere un sonetto come quelli del Belli. Carlo Levi li descrive in "Cristo si è fermato a Eboli" come una "barbara delizia". Non si poteva escogitare definizione migliore.
Cibo estremo
Chiamo “cibo estremo” un cibo che rappresenti all’estremo la mia cultura o il mio territorio (ammesso siano cose diverse). Un cibo che, guarda caso, spesso è estremamente raro o estremamente proibito (se non dallo stato, dal sentire comune). Il contrario delle penne rigate e della tagliata, per intenderci e sbrigarci. Un podcast del Foglio con Camillo Langone